Berlino, l’amore per le biciclette (italiane) e il Radrennbahn Schöneberg
di Federico Meda
Berlino città delle biciclette, delle piste ciclabili, dei cargo-bike ma anche dei velodromi. Da fine Ottocento, quando le gare in pista divengono un fenomeno di costume, la capitale tedesca ospita oltre 20 impianti. Sabbia, terra battuta, cemento, legno, indoor, outdoor, temporanei: una varietà difficilmente riscontrabile in altre città europee.
Si inizia a Charlottenburg, nel 1881, si continua dalle parti dello Zoologischer Garten e solo nei primo decennio del nuovo secolo si allestisce un’arena coperta. Purtroppo, tanti di questi velodromi sono stati demoliti, sostituiti, ricostruiti e solo di alcuni rimangono delle piccole e curiose tracce.
È il caso del Radrennbahn Schöneberg, costruito nel 1953 e demolito pochi anni fa: 333,33 metri in legno africano, larghi 7,30 con un’angolazione di 39°. Velocità massima raggiunta: 120 km/h. Un impianto molto bello, funzionale, disegnato in mezzo agli alberi dall’architetto Friedrich Schrell. L’ingresso sembra un vecchio cinematografo razionalista, dentro uno stadio all’americana, tanto che tra gli ultimi ad utilizzarlo sono proprio i giocatori della squadra di Football del Berlin Adler.
Il fatto curioso di questo velodromo è che la torretta dei giudici (Richterturm) è rimasta intatta dopo la demolizione (iniziata a metà del 2000), quando il velodromo ha lasciato il posto a un enorme punto vendita Möbel Kraft. La Richterturm è un’aggiunta del 1960 e presenta un tetto a tenda piuttosto insolito. Non solo, il pilone portante negli anni è stato decorato con un mosaico dai motivi ciclistici che ricorda Keith Haring. Ecco quanto rimane di uno dei più importanti impianti della Berlino occidentale.
Per ammirare questo simulacro basta entrare nella struttura dell’Olympischer Sport Club Berlin, in Priesterweg, traversa della Sachsendamm. Superando gli uffici e i parcheggi di questo vecchio impianto multisport, si raggiunge la torretta che si staglia, completa di didascalia, in uno spiazzo prospiciente il Möbel Kraft. I rumori sono quelli della A100 che scorre a poche decine di metri. Un’immagine malinconica, che fa a pugni con le fotografie dell’arena in piena attività. Il colosso immobiliare ha deciso di onorare la memoria del velodromo con una piccola esposizione all’interno della caffetteria: 4-foto-4, in una stanza simil-western, e come testo l’identica scritta della didascalia presso la torretta. Una tristezza.
Dustin Nordhus è canadese e arriva a Berlino a metà dei Novanta. Per curiosità: voleva conoscere il mondo e la capitale tedesca gli sembrava un ottimo punto di partenza. Con sé uno zaino e una MTB (mountainbike) di un artigiano di Vancouver, sua città natale. Inizia a lavorare come bike messanger. Un giorno, tornando a casa, nota un collega in sella a una “Brodie”, un telaio canadese, proprio di Vancouver: si chiama Mortimer.
Nasce subito un’amicizia che sfocerà poi nel team di messanger “Berlin massive”. Sono i pionieri delle corse (tipo l’Alleycat) riservate ai “corrieri in bicicletta”. Dustin vive e lavora su due ruote. Un giorno decide di andare a Il Cairo, senza utilizzare alcun mezzo di trasporto al di fuori della bici. E in 7 mesi ammira le piramidi, dopo aver bordeggiato tutto il Mediterraneo.
È un periodo ancora underground, in cui utilizza volentieri biciclette a scatto fisso, come impone la moda dell’epoca, ma inizia ad appassionarsi di due ruote italiane, esclusivamente in acciaio: «I vostri colori, le grafiche, l’inventiva sono imbattibili. E poi quando cominci a frequentare il mondo delle corse, come L’Eroica o il Giro d’Italia, non puoi che innamorarti di quel ciclismo. È così old school.
E nel 2004 la svolta: dopo aver scovato telai e ricambi in ogni dove, decide di aprire un suo negozio a Prenzlauer Berg (Schönfließer Straße 19, chiuso domenica e lunedì), sulla scia di quanto fatto dall’amico Mortimer al di là del fiume, a Kreuzberg, con “Keirin”, dal nome della specialità su pista giapponese. «Ma il mio non è un bike café, voglio precisarlo. Ho la macchina e un espresso lo offro volentieri, ma solo agli amici». Il nome è un gioco di parole tra Berlino e il modello “familiare” della Fiat 500: “Cicli Berlinetta”. All’interno, in tre grandi locali, maglie, memorabilia e biciclette dei più prestigiosi marchi italiani: Masi, Colnago, Tommasini, Moser, Gios, Cinelli, Motta, De Rosa.
Dopo l’excursus torniamo al nostro Radrennbahn di Schöneberg. Dustin ha solcato il suo teak africano più e più volte, assistendo anche all’invecchiamento della pista e delle tribune, colonizzate dalle erbacce e dai calcinacci. Una volta scoperto il piano di demolizione, il canadese decide di assistervi per salutare l’impianto che ha visto correre glorie della pista tedesca, come Horst Gewiss, Günther Kaslowski, Reiner Podlesch, Wolfgang Schulze.
Il legno africano è la prima cosa che viene liberata dalla struttura disegnata da Schrell e forma una piramide alta almeno 30 metri. «Non potevo crederci venisse buttato tutto quel legno», ricorda ora Dustin, «così in compagnia di alcuni amici, spesi le tre notti successive per recuperarne un po’, riempiendo il furgone all’inverosimile». Ora campeggia nel suo negozio: sul bancone, in vetrina. Forma le mensole su cui trovano posto i pezzi di ricambio e i souvenir dei viaggi in Italia. Conserva anche alcune foto del velodromo, ma non si vedono sulle pareti. Alla fine Dustin ci spiega l’arcano: «Non so perché, ma le tengo in bagno».
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