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La mattina a Berlino: m’illumino d’immenso

© Alfredo Jaar, Courtesy: Alfredo Jaar, New York und Galerie Thomas Schulte, Berlin
© Alfredo Jaar, Courtesy: Alfredo Jaar, New York und Galerie Thomas Schulte, Berlin

di Moritz Müller-Schwefe

[articolo redatto per un corso di italiano: lo pubblichiamo nella sua stesura originale, con i suoi deliziosi errori, ricordando che l’autore è di madrelingua tedesca]

Fa freddo oggi. Sto aspettando l’autobus a Potsdamer Platz. La gente, portando i loro sacchetti, passa davanti. Si fa scuro già, alle quattro e mezzo. Una raffica di vento rinforza il freddo. Chiudo la zip della mia giacca. Mi volto alla strada ed appare l’autobus. Compro un biglietto e mi siedo su una sedia alla finestra. Passano fuori gli edifici adesso, i cartelli stradali, i lumi, i lampioni, i fanali e poi – un tratto di lumi di neon.

Ci fermiamo ad un incrocio e scopro il tratto premendo la mia faccia contro la finestra dell’autobus. Brillano nell’oscurità fra Potsdamer Platz e Jerusalemer Straße le parole famose della poesia Mattina di Ungaretti: “M’illumino d’immenso“. Nell’oscurità e qui, a questo luogo insolito, un po’ irreale, fra i „templi del consumo“ distorti, fra il Sony Center e l’Alexanderplatz, in mezzo della Leipziger Straße, larga e battuta, con le sue case popolari, i discount – davvero in mezzo ad una bruttezza bizzarra e surreale. Qui m’illumino d’immenso adesso? Guardo – e mi volto al tratto di neon quando l’autobus avanza.

Mattina di Giuseppe Ungaretti (1888-1970) – sminuendo si può chiamala una poesia molto dibattuta. È fatta da pochissime parole, ma parole così forti che non solo bastano per provocare la fantasia, le connotazione, le associazioni ma che, davvero, fanno esplodere la loro cornice formale, la cornice della poesia.

Ricapitoliamo l’aspetto formale ed informale: Ungaretti ha scritto la poesia nel 1917, nel mezzo della prima guerra mondiale. Consiste di una riga ed è intitolata Mattina. Ci sono molte interpretazioni, ma concentriamoci solo su quello che vediamo adesso, il tratto di lumi, il titolo e l’unica riga, le parole. Mattina, Illumino, immenso: è notevole la scelta delle parole. Sono, come ho già espresso, parole forti, con un raddoppiamento di consonanti. Mattina, illumino, immenso, ripetendole ad alta voce, sottolinea la loro forza.

Vogliono spazio ma non ce l’hanno. Invece, fuorché il titolo, sono collegati, quasi ammanettati di „appendici“, il pronome personale „mi“ e il „di“ d’avanti a immenso. Sono nella „situazione“ stessa, le parole: coniugati, „subordinati“ del titolo. Si parla della mattina qui – e poi di un’attività, normalmente, divina, sacrale, mitica – ma quasi limitata qui, veramente ammanettata (delle circostanze della poesia, la guerra?). Sono, ancora una volta, rubato dallo spazio ma tuttora forti, tremendo, vibrando. È chiaro: Dobbiamo leggere la poesia ad alta voce sentendo tutto questo, sentendo non solo la vibrazione delle parole ma anche la vibrazione della voce, del corpo.

Finiamo di ricapitolare ripetendo la riga. È già ridato sopra ma ricongiungiamola per l’impressione completa, per capire, immaginare – oppure, certo, avere un’altra impressione:

Mattina
M’illumino d’immenso


Sono ritornato una mattina la settimana prossima, a piedi. Era sparito il tratto di lumi. Sono andato al prossimo incrocio – ed al prossimo. Ma non era qua ancora. Ho trovato una galleria (Galerie Thomas Schulte) all’incrocio della Charlottenstraße e la Leipziger. Mi hanno detto che faccio tardi e che hanno già istallato un’altra opera di Alfredo Jaar, un artista cileno, che si concentra su tratti di lumi di neon. Mi hanno dato quest’immagine, una copia di una fotografia del tratto.

Sulla strada fredda, grigia e battuta ho chiuso la zip della mia giacca, ho comprato un biglietto per l’autobus, mi sono voltato all’incrocio, la galleria, sentendo la mancanza del tratto, delle parole ma sentendo, anche, questa mattina, la vibrazione – del motore dell’autobus, oppure…

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