“Denunciamo i nuovi muri d’Europa”: intervista al discusso gruppo ZPS
di Stefan Lauer*
traduzione di Monica Cainarca
Mentre la Germania commemora i morti del Muro e del confine interno tra Est e Ovest, chi muore ogni giorno ai confini esterni dell’Unione Europea cade nel dimenticatoio. E così, se chi all’epoca aiutava i cittadini della DDR a fuggire fino al 1989 era onorato come eroe nazionale, i trafficanti di oggi sono visti come avidi commercianti che sfruttano la sofferenza umana.
Gettare luce su questa assurda contraddizione è l’intento dell’iniziativa lanciata lunedì scorso dal gruppo Zentrum für politische Schönheit (centro per la bellezza politica): le croci bianche che commemorano le vittime del Muro di Berlino sono state rimosse e trasportate ai confini esterni dell’Unione Europea. Il gruppo ha scelto questa azione in protesta contro il sentimentalismo ritualizzato delle celebrazioni dell’unità tedesca, con installazioni di luci e palloncini per ricordare il giorno in cui il confine interno divenne storia, mentre sempre più persone sono costrette a rischiare la vita per attraversare i nuovi muri e i nuovi confini dell’Europa.
La reazione a questa protesta è stata una valanga di indignazione pubblica sulla stampa, sul web e negli editoriali: il Zentrum für politische Schönheit è stato accusato di travisare la storia e di “strumentalizzare” o le vittime del Muro o i rifugiati di oggi, che sono comunque considerati alla stregua di “migranti economici”, perché dopotutto si possono permettere di pagare quei crudeli trafficanti, e l’iniziativa è vista come mancanza di rispetto alle vittime della DDR. Gli artisti del gruppo hanno chiaramente toccato un nervo scoperto nella società tedesca.
Niente di tutto questo però cambia la situazione di chi tenta di attraversare i confini europei. Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, tra il 2011 e l’agosto del 2014 almeno 5.000 profughi sono morti annegati nel tentativo di attraversare il Mediterraneo – una cifra che sale a più di 25.000 dal 2000 a oggi, in base ai dati del progetto The Migrant Files. Significa che ogni anni muoiono 1,700 persone, una media di cinque ogni giorno.
Abbiamo incontrato Cesy Leonard del Zentrum für politische Schönheit per parlare del vero volto della società tedesca e dell’umanesimo radicale.
VICE: È in corso un acceso dibattito sulla vostra iniziativa, con molti articoli e commenti online. Che ne pensi di come viene raccontata questa storia?
Cesy Leonard: Ci sono molte inesattezze, per esempio c’è chi ha scritto che le croci sono sette mentre in realtà sono quattordici, oppure che siamo un gruppo di attivisti radicali di estrema sinistra, tutti concetti con cui non ci identifichiamo affatto. Per quanto mi riguarda, ad esempio, non sono nemmeno di sinistra e non sono un’attivista. Ci consideriamo tutti degli umanisti. L’intero progetto è un’iniziativa conservatrice con valori umanistici.
Che cosa intendi?
Crediamo nei valori fondamentali dell’umanesimo, nell’uguaglianza tra tutti gli individui. Siamo artisti e di certo non radicali di estrema sinistra. Abbiamo concepito questa iniziativa come una scossa per incoraggiare più consapevolezza a livello europeo e mondiale e per preservare la cultura occidentale.
Ci sono reazioni molto contrastanti, da quelle positive ai molti commenti estremamente critici.
Abbiamo raggiunto il 300 per cento del nostro obiettivo di crowdfunding in solo due giorni. Significa che c’è molta gente che vuole davvero abbattere i muri dell’Europa di oggi. Ma dobbiamo ancora raccogliere altri fondi per poter noleggiare più bus e trasportare i partecipanti ai confini. Le reazioni negative dalla stampa, soprattutto dai tabloid, erano relativamente prevedibili.
Ma è proprio quella la cosa che trovo piuttosto rivelatrice. Sia quel tipo di articoli che i commenti dei lettori strappano la maschera dal volto della nostra società, no?
Da quando abbiamo diffuso un comunicato stampa sull’iniziativa lunedì scorso, tutta la Germania è in subbuglio sul fatto che 14 grandi e importanti simboli sono stati trafugati. Nel frattempo, 24 persone sono morte annegate al largo di Istanbul, e la notizia ha ricevuto pochissima attenzione. Noi invece eravamo sulle prime pagine dei giornali tedeschi. Ecco cosa strappa la maschera al volto del popolo tedesco. Tutti piangono solo i propri morti. Quando si tratta di gente che viene da fuori, non ci facciamo tanto caso. Ma possiamo commemorare pienamente le vittime del vecchio muro solo quando ricordiamo anche le vittime di quello nuovo.
Le celebrazioni per l’unificazione della Germania e i monumenti a qualcosa che è intoccabile hanno anche a che fare con il nazionalismo?
Sul tema del nazionalismo preferirei non esprimermi affatto. È una grande cosa che possiamo celebrare questo giorno, e dobbiamo celebrarlo. Molte persone incredibili hanno lottato per renderlo possibile. Ma è fatale se una società sa solo fare celebrazioni e non riconosce che la stessa cosa sta succedendo di nuovo proprio adesso appena fuori dall’Europa: migliaia di persone che cercano solo di entrare stanno morendo ai confini e si stanno costruendo ancora più barriere.
Che cosa vuoi dire ai vostri critici che non vedono il collegamento tra i due tipi di confini?
Non stiamo facendo un paragone diretto e semplicistico sulle cause: vogliamo mettere in luce un collegamento a un livello più profondo. È difficile se manca una riflessione più ampia in un giorno di commemorazione così importante. Si celebra la caduta di un muro mentre si spendono miliardi per costruirne di nuovi. Ed è lì che serve una più ampia riflessione.
Trovo molto interessante il fatto che con questa azione per il giorno della commemorazione state prendendo qualcosa che appartiene alla storia per portarlo nel presente.
Tutti noi abbiamo chiesto ai nostri nonni: “Come facevi a non sapere cosa stava succedendo nel Terzo Reich? E perché non hai fatto niente?”. Che giudizio daranno su di noi e sulla nostra epoca gli storici tra 200 anni? E così ho affrontato la cosa nel modo che ritenevo più giusto. Sono appena stata in un campo profughi a Melilla. E tutte le nostre preoccupazioni qui non hanno alcun rapporto con le condizioni di vita della gente che sta là. Vengono picchiati brutalmente dalla polizia marocchina e non ricevono cibo né cure mediche o farmaci.
Che tipo di persone stanno partecipando alla vostra iniziativa e partendo con i bus per i confini europei?
Il viaggio in bus è la cosa più importante che vogliamo promuovere. Ora siamo riusciti a organizzare quasi due bus al completo e più ne avremo più gente potrà viaggiare con noi fino ai confini e contribuire ad abbattere le recinzioni. Si sono registrati anche tanti giornalisti ma vogliamo essere selettivi. Di certo non vogliamo avere un bus solo per la stampa: preferiremmo avere pochi giornalisti e molti attivisti, molti rivoluzionari pacifici.
Dove sono ora le croci? Torneranno a Berlino?
Le croci hanno fatto un viaggio che hanno gradito molto: fino al muro esterno dell’Europa. Era quello il nostro piano fin dall’inizio e fa parte del piano anche che tornino al loro posto. Le croci non sopportano le commemorazioni ma torneranno. E immagino proprio che vorranno tornare al loro posto quando vedranno l’enorme coinvolgimento di rivoluzionari pacifici che le accoglieranno.
Quindi le croci vogliono stare non a Berlino, ma dove ci sono ancora effettivamente dei confini?
Se mi immagino di essere uno di quei profughi della DDR, di dover lasciare la mia vita o esser pronto a fuggire, per poi morire dissanguato su quella recinzione per omissione di soccorso, di sicuro proverei una profonda compassione per le persone destinate a essere le vittime del nuovo muro.
* articolo originale apparso su VICE Deutschland il 5 novembre 2014
Traduzione autorizzata di Monica Cainarca