“Con la complessità: così Berlino è diventata la città più bella del mondo”
Quello di Berlino è un tessuto urbano che sembra resistere a tutti i tentativi di riordinarlo. La sua natura incompiuta, a venticinque anni di distanza dalla riunificazione, è ancora un dato di fatto che neanche le ristrutturazioni e i nuovi complessi ultramoderni riescono a cambiare.
Al contrario di Londra o Shanghai, che sono diventate centri di investimento che accolgono lo sviluppo che porta ricchezza e immagine, ma poca sostanza civica, Berlino si mostra sospettosa, e i suoi cittadini poco impressionati, dagli investimenti privati e dall’immagine globale.
David Chipperfield scrive sul The Guardian che “per i berlinesi non è chiaro se vivono in una grande capitale politica europea o una ridente cittadina hippy di club.
Non sanno se essere felice che il vecchio Tegel sia in funzione o furiosi di non avere un aeroporto internazionale. Non sanno se vogliono davvero che lo Stadtschloss venga ricostruito, e non sanno se l’arrivo di Frank Gehry e il suo grattacielo contorto in Alexanderplatz sarà l’inizio di un nuovo luminoso futuro o la fine di un’epoca innocente”.
Berlino affascina, perché impegnata e vitale e in qualche modo è riuscita a mantenere intatte quelle caratteristiche a cui tutte le grandi capitali dovrebbero ambire, ma che invece sono ridotte ad una separazione netta tra ricchi e poveri, senza più quel senso di partecipazione che ancora si respira nella capitale tedesca.
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