Berlino 1990: tre amici a zonzo nella città riunificata

Checkpoint Charlie, 1990 | © Alessandro Brogani
Checkpoint Charlie, 1990 | © Alessandro Brogani
Checkpoint Charlie, 1990 | © Alessandro Brogani

di Alessandro Brogani

C’erano ben 40 gradi quell’estate del 1990 a Berlino. Noi eravamo amici d’università giunti fin qui, chi con l’InterRail, dopo un giro in altre tappe europee, chi da Dresda, dove stava seguendo un corso di tedesco. Tutti avevamo in mente la stessa cosa: vedere un posto mitico, e anche un po’ mitizzato, su cui avevamo fantasticato per tanti anni.

A dire il vero, per me era iniziato tutto nell’autunno di tre anni prima, quando avevo visto Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin, Wim Wenders 1987): fu amore a prima vista con quella che sarebbe diventata, chi avrebbe mai potuto immaginarlo, la città dove mi sarei trasferito a vivere.

Casa dolce casa

Avevamo avuto le chiavi dell’appartamento di un’amica della ragazza di uno di noi tre. Il posto era in un quartiere “non proprio in”, “pieno di turchi” e “per niente sicuro”: il quartiere di Kreuzberg. Così recitavano alcune guide dell’epoca. Appena arrivati ad Hauptbahnhof cercammo il modo più rapido per arrivare fin laggiù, per l’esattezza in una tal Admiralstraße, che ci avevano detto essere vicino alla fermata della U-Bahn 1 di Kottbusser Tor.

1990 | © Alessandro Brogani
Il monumento in Admiralstraße, 1990 | © Alessandro Brogani

L’appartamento era molto carino. Non avevamo mai visto terrazzini ricavati da impalcature in metallo e la prima volta che ci affacciammo, ci aveva colto un po’ di timore che cedesse. Si sa, noi italiani, se i palazzi non hanno un terrazzino minimo del ‘500, non ci fidiamo un granché!

L’atmosfera era comunque fantastica. Forse perché era quella dei vent’anni, quando tutto quello che vivi è al di sopra della realtà. Fatto sta che eravamo entusiasti di tutto…, quasi tutto… vespe a parte. Già, perché anche allora la città del Muro era invasa letteralmente da quei graziosi animaletti in cerca di cose buone da mangiare. Le trovavano ovviamente nel momento in cui ti apprestavi a fare colazione nella piccola Bäckerei sotto casa, o provavi ad addentare un panino con il Wurst comprato nel vicino supermercato per risparmiare.

Un figlio dei… fiori

La cosa più divertente di quel palazzo era il nostro vicino di casa. Un simpatico spilungone con i capelli raccolti a coda di cavallo, che ci invitò un pomeriggio a bere una birra nel suo appartamento, dove vivevano con lui probabilmente 20 altri, fra ragazzi e ragazze. Ricordo come fosse oggi con quale accuratezza e lentezza stesse sfogliando le piantine di marijuana che erano ammassate sul pavimento del corridoio. Oltre ad offrircene, qualora l’avessimo voluta per passare un’allegra serata, ci portò sul terrazzo del palazzo per farci vedere, con malcelato orgoglio, i vasi ricolmi della preziosa piantina, quasi fossero una vera piantagione. La cosa che subito m’incuriosì, furono gli specchietti che aveva messi alla base degli steli, e gliene chiesi la ragione. Mi spiegò che erano lì per aiutare le sue gracili creaturine a raccogliere i raggi del pallido sole del nord. Come dargli torto?

Cambiai però idea, circa il mite clima del nord Europa, la mattina dopo quando, alzatomi per il caldo insopportabile che c’era nella camera dove dormivo, pensai bene di prendere una boccata d’aria fresca, quella delle 7 di mattina per l’appunto, fuori sul famoso balcone instabile. Baldanzoso, a torso nudo, uscii dalla finestra per rientrarne circa 10 secondi dopo, barcollante. Una folata di vento ustionante mi aveva fatto pensare che la terza guerra mondiale era in atto poco distante. Pensai che oramai ci sarebbe rimasto poco da vivere, essendo stati colti dal vento radioattivo di un’esplosione nucleare. Sono ancora vivo. Ne deduco fosse solo un caldo tepore con cui il clima di Berlino aveva deciso di non farci rimpiangere l’afa italiana.

Marx, Engels e i loro… epigoni

La statua di Marx e Engels con Il Palast der Republik sullo sfondo, 1990 | © Alessandro Brogani
La statua di Marx e Engels con Il Palast der Republik sullo sfondo, 1990 | © Alessandro Brogani

Ricordo ancora lo stupore nell’apprendere che la parte più antica di Berlino, e “meglio” conservata, fosse proprio quella dell’Est, o meglio quella che vedeva la maggior parte dei musei della città nel quartiere di Mitte. Il Duomo non era ancora stato ricostruito per intero al suo interno, ed era un cantiere ricolmo di polvere bianca di stucco. Proprio lì di fronte, dove una volta c’era stato il Berliner Schloss, oggi in ricostruzione, c’era il famoso Palast der Republik, sede fra l’altro del Governo della DDR. Un giovanotto come me ha fatto in tempo a vederlo ancora sano in quell’anno, poi con i vetri in mille pezzi nel 2004.

Ci sono cose nella vita che diventano un ricordo indelebile e a cui ti affezioni con l’andare degli anni. Una di queste, per me, è la foto a fianco della statua di Marx ed Engels, non lontano da quel palazzo tanto brutto a vedersi. Giovani laureandi in filosofia potevano non farsi una foto davanti a quella statua? Da allora, ogni volta che sono tornato a vederla, ho fatto la stessa foto nella stessa posizione. Solo durante l’ultima visita, dopo aver temuto che il comune avesse deciso di rimuoverla, mi dovetti accontentare di farla con un altro sfondo, dal momento che era stata girata (forse per non far fotografare ai turisti della domenica come me lo sfondo del cantiere del nuovo Schloss).

C’era una volta il Checkpoint Charlie

Friedrichstraße è il cardo, mentre potremmo dire che la Unter der Linden sia il decumano di Berlino. Entrambe strade storiche, entrambe trasudano storie da raccontare. La prima è celebre soprattutto per il punto di passaggio più famoso che dall’Est permetteva l’accesso all’Ovest della città: il Checkpoint Charlie. C’era una volta. Già, perché oggi non c’è più. È stato smantellato e ne rimane solo una casupola in legno al centro della strada, dove i turisti s’affannano a farsi fotografare accanto a posticci militari russi e americani. Mi manca. Come mi mancano altre parti di Berlino di quegli anni, che non ci sono più. Ma questo è forse dovuto ad un mio senso di conservazione che influenza anche il gusto urbanistico e architettonico.

Checkpoint Charlie, 1990 | © Alessandro Brogani
Checkpoint Charlie, 1990 | © Alessandro Brogani

Tre amici a zonzo… per non parlar del pane

Friedrichstraße all'altezza di Torstraße, 1990 | © Alessandro Brogani
Friedrichstraße all’altezza di Torstraße, 1990 | © Alessandro Brogani

Sulla Unter der Linden si trova la bellissima università dove Hegel e Marx esercitarono il ruolo di professori. Fu così che tre sbarbatelli, venuti da lontano, si recarono deferenti a visitare quei luoghi quasi mitici e calpestare il “sacro suolo”, dove mostri sacri della Filosofia avevano con molta probabilità passeggiato. E chi se lo sarebbe potuto perdere? Certamente non gli epigoni de’ noantri (tipico modo di dire trasteverino, per i non romani d’origine, che significa “di casa nostra”) dei grandi filosofi tedeschi.

Fu così che finì a tarallucci e vino, cioè a mensa. D’altra parte, anche i grandi padri della filosofia avranno pur mangiato da qualche parte, quindi decidemmo di esplorare quel tipo di ambienti “storici”. Uno di noi tre, il mio amico Sebastiano, parlava tedesco in modo più che accettabile, così mandavamo sempre lui a sbrigare le questioni “burocratiche”, tipo pagare il conto o chiedere dove fosse una strada. Lo mandammo anche a chiedere del pane a una seriosa e imponente Frau, che stava distribuendo le cibarie agli studenti affamati. “Ich möchte gern ein bisschen Brot” disse timido lui. “Was?” tuonò Frau sgommarello. La cosa si ripetè per tre o quattro volte, quando finalmente la “gentil donzella” esclamò: “Ah, broooooot…”. Non sto qui a dirvi cosa pensammo tutti e tre, circa dove dovesse recarsi l’ineffabile dispensatrice di pronuncia teutonica, ma credo che dalle nostre facce l’avesse intuito anche lei. Dopo un’oretta circa, satolli e soddisfatti, eravamo pronti a proseguire la nostra cavalcata “culturale” fino alla fine della Unter der Linden.

La quadriga trafugata

Napoleone Bonaparte nel 1807 pensò bene di portarsi a Parigi un souvenir di Berlino, mi riferisco alla quadriga posta sulla sommità della porta di Brandeburgo. La gita fuori porta durò poco. Nel 1814, i cavalli tornarono a casa, con l’aggiunta della croce di ferro sull’asta tenuta dalla dea della pace. La porta è il punto ideale di divisione della Unter der Linden con il Tiergarten, ad ovest della città. Qui passava il muro, proprio poco dopo la porta. Nel ’90 non era stata ancora restaurata, ma aveva a mio parere un pregio architettonico che oggi non ha più. Era isolata. Non c’erano quelle, a mio giudizio, orrende costruzioni moderne che la fiancheggiano oggi. Trovo che sia un po’ come se a fianco dell’arco di Tito a Roma avessero costruito, a un metro di distanza, due palazzi. Magari difetterò di gusto io, chissà.

Porta di Brandeburgo, 1990 | © Alessandro Brogani
Porta di Brandeburgo, 1990 | © Alessandro Brogani

Potsdam, la cupola che non c’era

Uscendo dalla città andammo a visitare il parco Sanssouci di Federico II, a Potsdam. Era, ed è tutt’oggi, bellissimo. La differenza più grande è il fatto che all’epoca non era ancora stato restaurato del tutto e ci fece una strana impressione vedere una delle due chiese, poste davanti alla nuova residenza, completamente priva della sua cupola. Nel 2004 l’avevano ormai completata. Oggi fa parte di una splendida vista di fronte al bel palazzo settecentesco.

La cupola che non c'era, 1990 | © Alessandro Brogani
La cupola che non c’era, 1990 | © Alessandro Brogani

Molte altre cose vedemmo in quei giorni, mitici almeno nel nostro ricordo. Pezzi di Muro ancora sparsi per la città, la Potsdamer Platz completamente vuota, il Tacheles. Furono due settimane stupende, all’insegna della scoperta di ciò che il Muro ci aveva nascosto per così lungo tempo. Non le dimenticherò mai, non dimenticherò mai la sensazione di gioia comune provata con la gente del posto. Una gioia che, forse, è soltanto un bel ricordo anche per molti di loro.