Il Leon Battista Alberti di Wedding. Intervista a Flavio de Marco
Mentre scrivo al tavolo di un caffè, scorrono oltre la vetrata i bus a due piani che trasportano i turisti nei luoghi emblematici della città. Il giro è sempre lo stesso e offre un consumo collettivo addomesticato dei paesaggi riconoscibili. Berlino, come altre città, è il suo simulacro.
Per Flavio de Marco, artista italiano che ha studio a Wedding, non c’è conflitto fra reale e fittizio. I due piani si possono integrare, come nella sua invenzione utopica Stella – un’isola artificiale in cui i cambi di paesaggio e di luce sono programmati da un software.
Il paesaggio da sfondo naturale (come quello, fra i più famosi, che si staglia alle spalle di Monna Lisa) si fa veduta artificiale, come sull’isola-software che si ispira alla Palm Island di Dubai. “Avevo programmato un viaggio a Dubai”, mi dice l’artista durante l’intervista, “ci ho pensato per mesi; ma alla fine, facendo esperienza di Dubai sui cataloghi delle agenzie turistiche, ho capito che non era necessario spostarmi”.
Flavio de Marco depura le riflessioni sul paesaggio da ogni considerazione morale: “Non ho niente da dire a chi compra da Ikea”. La sua poetica pittorica contamina l’orizzonte naturale con l’orizzonte mentale della schermata del computer, senza nostalgia per “l’incanto della superficie”. Arriva così allo schermo-paesaggio, sintesi delle immagini digitali che hanno trasformato il dispositivo della nostra memoria in finestre di sistemi operativi.
Nel suo progetto Vedute del 2010 (Collezione Maramotti, Reggio Emilia), Flavio de Marco espone una nuova grammatica dell’esperienza turistica. L’operazione raccoglie le vedute di sei città, fra cui Berlino e Lecce (luogo natale dell’artista), paesaggi contemporanei rimontati ed elaborati concettualmente, realizzati con tecnica mista.
Ogni quadro, ogni disegno di Flavio de Marco pone il problema del paesaggio. Chi ha la fortuna di visitare il suo studio a Wedding può ammirarne le grandi superfici dipinte, tutte contaminate dalle onnipresenti finestre digitali. Gli chiedo se il suo studio sia aperto a tutti e lui mi risponde: “Come potrebbe essere aperto lo spazio che è più personale?”. Ripetutamente l’artista torna sulla dimensione dell’arte come necessità di collegare l’esistenza con uno stato d’animo. La visita nel suo studio si rivela una vera esperienza a tutto tondo.
Flavio mi mostra una raccolta di disegni a cui sta lavorando, poi mi prepara due dosi di un cocktail a base di Metaxa (vederlo lavorare all’equilibrio della composizione è un privilegio), a cui fa seguito un risotto preparato al momento (nello stile di un incantatore che faccia levitare pietanze da un cesto magico), infine mi conduce verso due temi che gli sono cari: la musica di Bach e il cinema di Germi. Lasciando il suo spazio “più personale” e immacolato, nell’eco di una conversazione colta e articolata (profondità e ampiezze a cui avevo perso l’uso), penso che Flavio de Marco riunisca in sé, come nell’antica Grecia, il Buono, il Vero e (ve lo posso assicurare) il Bello.
Stella, l’isola artificiale cui hai dedicato un libro e decine di dipinti e disegni, si trova nell’Egeo meridionale. Perché hai scelto questa collocazione?
Perché amo la Grecia, dove mi recavo fin da quando ero piccolo, una terra in cui continuo a vivere una relazione amorosa con il suo mare.
In Stella c’è una riflessione non solo sul paesaggio, ma anche sulla finanza internazionale. Nella finzione utopica, il progetto è diretto da una multinazionale araba e americana. Che relazione ha la dinamica del potere con la riflessione sul paesaggio?
In termini diretti, in quanto riflessione sul paesaggio visibile, nessuna. In termini indiretti, in quanto produzione del paesaggio visibile, massima.
Di cosa parli esattamente quando nella prefazione del libro accenni a “meccanismi con cui il pianeta sembra avanzare per la volontà di scavalcare gli essi esseri umani che lo abitano”?
Parlo dell’ignoto, di tutto quello che è prossimo alla vita di ogni essere umano e che, allo stesso tempo, risulta inspiegabile a questo stesso essere.
L’invenzione di Stella è un’infilzata di trovate geniali, dallo statuto di “luogo in cui tutto è obbligatoriamente consumabile” alla Dichiarazione dei diritti Fondamentali di Turisti. Viene da pensare che molte città esistenti sono già più attente ai loro turisti che ai loro cittadini…
Mi viene in mente un libro fantastico di Philip Dick, “Un oscuro scrutare”, dove il protagonista ha una doppia identità, vivendo allo stesso tempo come un comune drogato e come un agente della narcotici…
Nell’isola a forma di Stella le correnti d’aria sono regolate da “addensanti climatici”. Chi si reca nei centri commerciali non transita attraverso reparti, bensì attraverso veri e propri paesaggi e climi. Come osservatore invitato sull’isola, vieni colpito dalla finzione climatica, ma vai oltre. Parli, ad esempio, di “sentimento standard di un cielo tipografico”. E commenti ancora: “La natura non rivolge il suo urlo al turista”. In Stella non è la Natura che disvela il suo movimento allo sguardo, ma è il software che riproduce il movimento, stimolando sentimenti standard sintetizzati. Esiste un “turismo sentimentale”?
Assolutamente, è quello dei turisti migliori, quello per cui un tramonto reale e quello stampato sull’asciugamano sono un’unica realtà, una realtà però che non è solo commerciale, ma che in fondo lavora su archetipi remoti del desiderio umano.
Sull’isola a cinque punte il programma LSN riproduce paesaggi di baie salentine, spiagge di Formentera, strapiombi baltici, piazze romane, fiori di montagna, alberi dipinti nello stile di Cézanne, relitti avvolti da atmosfere crepuscolari ottenute con nebbie colorate adagiate sul mare (la cui tonalità è predeterminata). Non solo la fauna viene riprodotta (anche in laboratorio, come nel caso del pescebanana o di esemplari estinti), ma anche la “drammaturgia” dei luoghi, cioè il paesaggio in relazione agli accadimenti (battaglie storiche o plot romanzeschi) che il software ricrea. Come è stato possibile arrivare ad una simile ricchezza di invenzione? Sembra che tu sia stato veramente su quell’isola…
Difatti, come dichiaro nell’introduzione, ci sono stato. Non hai forse scritto nella premessa, a proposito della mia persona, che “non c’è conflitto fra reale e fittizio”?
Risale a Petrarca il passaggio da contemplazione della natura a visione estetica della natura (cioè il paesaggio). Quali sono le tappe intermedie che hanno portato allo schermo del computer come finestra sul mondo?
Alcune esperienze di vita, di cui cito soltanto una che risale a più di quindici anni fa: passeggiare su un sentiero innevato, sulle montagne della Svizzera (a Rougemont per essere precisi) e rendersi conto all’improvviso di sentirsi in luogo estraneo e innaturale.
A parte banche, spiagge, centri commerciali e postazioni militari dissimulate, non esistono scuole nello stato monarchico di Stella. Davvero è possibile arrivare a costruire artificialmente un luogo solo per turisti?
La conoscenza è il primo pericolo per l’edonista, il quale, come gli abitanti di Stella, non può permettersi di sostituire lo spazio del piacere diretto con quello del piacere acquisito (ammesso che l’educazione intellettuale possa poi produrre questo piacere).
In che punto della tradizione si colloca il tuo lavoro? Sulle spalle di quali giganti spingi la tua ricerca?
Senza fare un elenco di giganti, che poi più che giganti mi piacerebbe chiamarli semplicemente amici, dei veri amici, potrei dire, come hai intuito, che si origina con il “De Pictura” di Alberti.
Dipingi, disegni, scrivi libri, illustri poesie, elabori cocktail, ascolti Bach. Il tuo lavoro e la tua vita si collegano senza soluzione di continuità, anzi, si sovrappongono. Per te l’arte è un bisogno esistenziale. Cosa pensi, invece, dell’arte produttiva, del design?
L’arte dal mio punto di vista non produce utilità diretta, ma semmai identità necessaria, ragione per cui il design di una sedia non è sufficiente a fare di questa sedia una scultura, ovvero un’opera d’arte.
Perché sei a Berlino, in questa fase del tuo lavoro?
Perché oggi in Italia un artista non è un individuo che contribuisce a creare l’immaginario della nazione. E poi per molte altre ragioni legate alla vita quotidiana, tipo per la presenza dei migliori cocktail bar d’Europa, e così via.
Chi fosse interessato ad acquistare le tue opere o a seguire la tua evoluzione estetica, dove può trovare esposti i tuoi lavori?
Dove decideranno di esporli.
Tu sei anche l’inventore del cocktail De Marconi. Ce ne riveli la composizione?
È una semplice variazione di Americano, ma è un’unica parola, Demarconi, ovvero: Cynar, Campari e soda.