Il Kulturfestival Wedding-Moabit 2014 raccontato in 13 “istantanee”

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© kulturfestival wedding moabit (via)

di Fabio Noio*

Uno, uno sta via qualche settimana, si fa i suoi giri e i suoi pensieri in Italia, cioè si gode il mare e si annoia a sera, quindi torna in città e si chiede da dove venga quella punta di scetticismo che alla partenza gli sembrava di non avere ancora.

Non dalla città, bisogna dire. Ché nel giro di pochi giorni ha offerto, a lui come a tutti i berlinesi, una rassegna cinematografica intima e bella, l’FFL, e poi subito dopo un festival esploso nei Kiez che tra ponti e canali rappresentano i molti centri di Wedding e Moabit.

Zone non del tutto dentro alle “solite” ricognizioni della scena cittadina (e infatti si vedevano molti hipster in tenuta da fuoriporta, cioè con l’iphone in mano a cercare l’u-bahn più vicina), e che quindi valeva la pena di approfondire, o addirittura conoscere per la prima volta, tenendo in bella vista il programma stampato a mo’ di giornalino.

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© kulturfestival wedding moabit (via)

Sei punti nevralgici di raccordo, uno per ogni spazio culturale, e poi più di 250 eventi sparsi per le strade, da cercare e andare a visitare attivamente, dato che l’idea di fondo del festival era proprio quella di aprire direttamente al pubblico i luoghi dove i processi artistici nascono e prendono forma.

Avvio già govedì sul Torfstraßensteg, ponte pedonale per l’occasione fatto vibrare a benaugurio da due percussionisti perché si sentisse su entrambe le sponde, e dal giorno successivo percorso a libera scelta.

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© kulturfestival wedding moabit (via)

Più o meno a caso, allora, segue una lista non ragionata di momenti che sono:

– quando delle barchette di carta sono state fatte navigare, senza vento e senza fortuna, sulla Panke;

– quando si è cercato di non pagare l’ingresso volendo dimostrare di sapere pronunciare in perfetto estone il nome del bar, contando su un amico ungherese che suggeriva (per chi volesse allenarsi: jää-äär). Che poi i comici in piedi sulle casse di birra, dentro, valevano davvero il prezzo del biglietto (regolamento pagato);

– quando una strisciava sul pavimento in costume da bagno tra palloncini rosa, e non c’era birra;

– quando si è entrati nel mitologico tribunale sulla Turmstrasse, e lo si è trovato insolitamente bello, e inaspettatamente in sintonia col titolo dell’evento in programma (“Don’t be afraid of melancholia”);

– quando i residenti hanno parlato in video di come stanno cambiando i due quartieri. Delle paure e delle speranze;

– quando se volevi potevi farti insegnare a fare i graffiti;

– quando non eri ancora stanco di indicare la strada per i posti che conoscevi, e quando eri già stanco di sentire per caso che questo posto assomiglia, no è proprio uguale a un altro, a Neukölln;

– quando non si è potuto evitare il mercatino alla domenica pomeriggio;

– quando ci si è trovati di nuovo a stupirsi di alcune bellissime parole tedesche (Bergfest: il motivo. Un picnic sulla terrazza dello ZK/U, proprio a metà del festival, l’occasione);

– quando si è entrati in altri posti lì vicino, che però non erano nel programma;

– quando si è davvero capito come era bella la cosa, ed era tutto quasi già finito;

– quando si è sperato, senza dirlo, che un paio dei propri luoghi preferiti venissero poi dal giorno dopo di nuovo dimenticati dai visitatori;

– quando si è scommesso su chi, a partire già da oggi, sentirà per primo la frase: ah, ma Wedding (a scelta: Moabit) sta arrivando (kommt!).

Fabio Noio vive e scrive a Berlino. Il pauperista (Gwynplaine) è il suo primo romanzo.