Berlino come la Metropolis di Fritz Lang, nelle fotografie di Stefano Corso

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© Stefano Corso

Si avvicina l’inizio del Mese Europeo della Fotografia 2014, e tra le decine di mostre interessanti in programma ce n’è una firmata da un italiano: si tratta di Stefano Corso, unico italiano a prendere parte al grande evento internazionale con una personale.

La sua “Berlin Heute. Die Zukunft der Metropolis” (Berlino oggi: il futuro di Metropolis) sarà ospitata dalle sale dell’Istituto Italiano di Cultura. L’apertura della mostra è prevista per il 14 ottobre alle 19 e sarà possibile visitarla fino al 14 novembre.

Lo abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa in più sull’idea che sta dietro alla mostra, sulla sua vita di fotografo tra Italia e Germania, sui suoi progetti futuri.

Stefano, come nasce l’idea di Metropolis?
Il mio modo di fotografare ha sempre risentito di influenze visive e di atmosfere derivanti da film, libri, canzoni a cui sono molto legato. Tutto nasce da una foto fatta esattamente 3 anni fa, un attimo colto da lontano, ad una persona che stava facendo strani ed incomprensibili equilibrismi vicino alla Paul-Loebe-Haus, al lato del Reichstag. Appena rividi la foto in macchina, mi venne in mente l’uomo che muove le lancette nel film “Metropolis” di Fritz Lang.

Metropolis è considerato il primo film di fantascienza della storia, girato nel 1927 negli studi di Babelsberg vicino a Potsdam. È un film cui sono molto legato e che ho visto decine di volte.  Partendo da quella singola foto ho cominciato a scattare per un anno avendo in mente quelle suggestioni e l’idea di di ritrovare, nella Berlino di oggi,  le previsioni futuristiche e le atmosfere di Fritz Lang.  Ad ogni foto della mostra sarà infatti collegato un fotogramma del film, concessomi dalla Fondazione Murnau che ne detiene i diritti.

Ho scoperto Metropolis per la prima volta a 16 anni grazie al video musicale dei Queen “Radio Gaga”, dov’erano presenti molte delle immagini. Sono andato a riguardarmi oggi per la prima volta dopo tanto tempo il video, il cui ricordo è stato probabilmente evocato dall’intervista, per scoprire con mia enorme sopresa che la maggior parte delle sequenze originali prese dai Queen sono proprio quelle che ho usato io come ispirazione per la mostra. Fatto che avvalora sempre di più la mia convinzione che molto spesso fotografiamo quello che abbiamo già sperimentato ed elaborato visivamente ed emotivamente in altri momenti della nostra vita, riconoscendolo e facendolo proprio.

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© Stefano Corso

Tu vivi in parte a Roma in parte a Berlino, qual’è il tuo rapporto personale con questa città?
Berlino è una città che ho sempre amato ancora prima di averla vista. Berlino Est era un luogo proibito, nascosto, Berlino Ovest erano le mie letture di Christiane F., i miei ascolti di David Bowie e le suggestioni e gli incubi di Roger Waters e dei Pink Floyd in “The Wall”. La prima volta sono venuto nel 2001 per una breve vacanza in gennaio, praticamente morto di freddo, da allora la città ha accompagnato 10 anni della mia vita, con frequenti viaggi che reputo fondamentali per la mia evoluzione fotografica e non solo. Dal 2011 divido il mio tempo tra Roma e Berlino, passando qui almeno metà dell’anno.

Il tuo modo di fotografare unisce la fotografia di strada e una sensibilità ‘onirica’, da dove deriva?
Deriva in parte da quello che dicevo prima, “rifotografo” ricordi spesso in maniera inconscia. Dall’altra ho sempre amato il surreale e il potere evocativo della fotografia. Cerco di cogliere singole figure immerse in architetture e spazi urbani non nella loro individualità, ma spersonalizzandoli e reinterpretandoli in maniera emotiva. Penso a queste immagini come possibili proiezioni di sé, in cui la persona tende a riconoscersi quando osserva la foto e si identifica col soggetto. Ogni immagine può essere colmata, interpretata dallo spettatore, con i propri ricordi, le proprie malinconie, le proprie tristezze e magari anche con un semplice sorriso consapevole.

Cosa si devono aspettare le persone che vengono alla tua mostra?
Un viaggio alla riscoperta del film Metropolis in chiave moderna per chi conosce il film. Invece un avvicinarsi a Berlino, alla sua storia e alle sue identità  in chiave originale e in parte metafisica per chi non ha mai visto Metropolis. Film che in ogni modo può considerarsi tristemente premonitore della storia del ‘900 e di Berlino, basti pensare alle lotte di classe, le sopraffazioni e i falsi idoli, giusto per fare un esempio.

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© Stefano Corso

Alla mostra ci saranno anche le musiche di Lucia Ronchetti, com’è nata l’idea e qual’è il nesso con Metropolis?
Lucia Ronchetti è una compositrice di musica contemporanea di fama internazionale, molto conosciuta in Germania, con cui collaboro da anni. Mi piaceva l’idea di abbinare una musica alla mostra, così ho chiesto a lei se  voleva far parte del progetto e se aveva qualcosa da propormi che ripercorresse le atmosfere del film in chiave moderna. Dopo aver ascoltato insieme alcuni brani, abbiamo trovato un perfetto punto di sintesi nel suo brano “Interlude 2” tratto dall’opera “Xylocopa violacea”. Un brano, quello di Lucia, con sonorità moderne capaci di accompagnare la visione delle foto e dei fotogrammi in una sintesi che trovo fantastica: una serenità che sta per essere toccata da un qualcosa di cui si ignora ancora l’entità e la forma. Come se la musica potesse avere una percezione del suo futuro.

Alcuni luoghi sono tipicamente Berlinesi, altri sono meno scontati, sicuro che le persone li riconosceranno?
Chi conosce Berlino non avrà difficoltà ad individuare  gran parte dei luoghi mostrati dalle mie foto. In molti ho cercato di dare prospettive diverse da quelle più note e almeno per 4-5 foto delle 19 esposte sfido anche i più accaniti appassionati di questa città a scoprire dove sono state scattate. Spersonalizzare i luoghi a vantaggio di atmosfere e forme è un esercizio che mi è sempre piaciuto fare.

Una parte delle foto ritrae paesaggi urbani contemporanei fatti di vetro e cemento, che potrebbero essere Berlino ma anche altre città, non c’è  il pericolo di perdita di identità?
Normalmente, come dicevo,  mi piace lavorare con le architetture moderne e le città trasformandole in non-luoghi in cui far vagare figure ad impatto emozionale, senza costruire nulla, ma cogliendo quello che vedo. In questo caso ho voluto che la città fosse in gran parte identificabile con il luogo in cui ho scattato le foto. Metropolis per me è  Berlino. Una città in continua trasformazione, sin dalla sua nascita, cosa che sa chiunque sia venuto qui almeno due volte. Ma ora sempre più siamo spettatori di nuove colonizzazioni immobiliari a scapito di quanto si era consolidato nella fase post-caduta del muro. Speculazioni scriteriate, demolizioni di edifici del passato e conversioni di edifici storici in operazioni secondo me di dubbio gusto. E questo è uno dei rischi e delle sfide che la città sta affrontando e forse perdendo: più diventa appetibile in termini di turismo di massa, più si trasforma allontanandosi dall’idea di libertà, di passato e di storia che l’avevano resa così interessante e fatta in questi anni diventare un polo di attrazione per persone di tutta Europa. Per rispondere alla domanda forse è proprio Berlino a perdere la sua identità questi anni, facendola sempre più assomigliare a qualsiasi altra città del nord europa.

Ci sono altri progetti che stai preparando qui?
Sto ultimando un progetto di ricerca iniziato con il mio amico e collega Dario-Jacopo Laganà che ci ha portato per più di un anno e mezzo per quello che era la vecchia Germania dell’Est, percorrendo più di 8.000 km alla ricerca delle tracce della presenza dell’Armata Rossa su questo territorio, tra vecchie basi abbandonate e strutture recuperate e riutilizzate per altri scopi civili. Quest’anno tra l’altro ricorre il ventesimo anniversario della partenza dell’ultimo soldato sovietico dal territorio della Germania. Il lavoro di ricerca e quello fotografico sonog già ultimati, siamo adesso alla ricerca di finanziamenti e di fondi per farne un libro e una mostra itinerante per l’ex DDR nel 2015.

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