Sotto la luce della memoria: a Berlino i Balcani fotografati da Ines Kotarac
Ines Kotarac, classe 1983, è una fotografa da poco trasferitasi a Berlino. La sua serie di nudi, intitolata “T kao tijelo” (B is for Bodies), è stata esposta nel 2013 alla Grey Gallery di Zagabria, muovendosi poi tra Rijeka, Sarajevo e Novi Sad, e approdando infine nel Giugno di quest’anno al Art&bar Suzie Fu di Berlino.
Ines è nata in Bosnia, ma di quel Paese non serba ricordi, neppure mezza immagine sfocata. Si è trasferita in Croazia con i suoi quando aveva appena 9 anni, lasciandosi dietro le spalle le colline e Bugojno – la città in cui è nata.
Soltanto più tardi è potuta tornarci, dopo che la devastazione della guerra ha operato in modo tale su quel paesaggio, che neppure la nebbia densa della memoria avrebbe potuto eguagliarne la forza distruttiva. È arrivata lì con occhi nuovi e ha ristretto il legame con quegli spazi, stavolta ponendosi dietro l’obiettivo e imprimendo sulla pellicola le immagini che tra i suoi ricordi non avevano spazio.
Nasce così il progetto fotografico “Drops against oblivion”, una serie di scatti a colori e in bianco e nero che documentano il processo di riconoscimento delle proprie radici e di rieducazione dello sguardo.
Ines, come si è svolta la prima fase della tua ricerca in Bosnia? Trovarsi dietro la macchina fotografica in un luogo per te così carico di significati – come ha influito sul tuo lavoro?
Quando ho deciso di dare avvio a questo progetto, che “covavo” da parecchio tempo, e mi sono lanciata in un tour tra le colline bosniache, i campi e i piccoli villaggi, i boschi di una bellezza mozzafiato ma inavvicinabili perché ancora pieni di mine. Sono approdata infine a Sarajevo, dove ero in compagnia di un’altra artista, una ragazza tedesca che si occupa principalmente di videoarte e che visitava quei posti per la prima volta. Averla accanto ha contribuito ad acuire la sensazione di “estraneità” che provavo verso il paesaggio: questo mi si donava come terra straniera, presentandosi integro nella sua durezza, mostrandomi senza veli le sue ferite.
È stato uno shock per me, nei primi giorni ho lottato costantemente contro la sensazione di malessere che mi creavano quelle immagini di un Paese – ancora – in ginocchio. La guerra in Bosnia e in Herzegovina è finita diciannove anni fa, ma tuttora si possono osservare i segni di quella devastazione. Non parlo solo di impronte fisiche, come edifici distrutti, fori di proiettili sui muri delle case: la guerra opera ancora nella testa della persone. Ci sono città che sono ancora divise al loro interno, gli abitanti nettamente separati per identità nazionale; l’odio e l’incapacità del perdono sono forze vitali che rendono impossibile al Paese muovere dei passi avanti. Inizialmente sono stata dunque traumatizzata dalla violenza che mi trovavo davanti, ma al contempo sentivo riaffiorare un legame atavico con quell’orizzonte, capivo di appartenervi da sempre. Credo che ciò si rifletta nelle foto che ho collezionato: gli scatti sono informati dalle fattezze del presente, ma rischiarati dalla luce della memoria.
Prima di dedicarti a questo ciclo di scatti, il tuo lavoro si è concentrato principalmente su ritratti e nudo: cosa ti racconta il corpo umano? Come si lascia guardare?
Il corpo umano è una parte intima e privata – qualcosa da cui non possiamo sfuggire – ma contemporaneamente è l’universale, comune a tutti i membri della specie homo sapiens. Può essere la zona del trauma e lo spazio del godimento, dominio di restrizioni e di libertà, infimo e sublime. Nella storia dell’arte visiva, in pittura come in fotografia, il corpo è uno di quegli argomenti che non smette di suscitare riflessioni e stupore, riconfermandosi come un’inesauribile fonte di ispirazione. Anche per me è stato così.
Gli uomini e le donne che sono stati miei modelli si sono liberati di ogni diffidenza davanti alla macchina fotografica e hanno lasciato che la luce (grande protagonista nelle mie opere) operasse sui loro corpi nudi fondendoli con l’ambiente circostante. Mi è piaciuto molto come Josip Horvat si è espresso a proposito di questa serie di scatti, nell’opuscolo della mostra: “Spazio e corpo si uniscono in un rapporto inscindibile in cui uno senza l’altro non potrebbe funzionare, dove lo spazio oggettiva il corpo e la loro mutua fusione, mentre d’altra parte, la presenza del corpo crea un’atmosfera enigmatica che anima i mobili, gli edifici vuoti, i balconi, le pareti – si potrebbe dire che la bellezza del corpo, catturata dall’obiettivo, trasforma l’ambiente e racconta una storia misteriosa, sognante”.
Lavori principalmente in analogico, ma a volte ricorri al digitale. Quale di queste due dimensioni preferisci, e quali sono i momenti che ti fanno scegliere l’uno o l’altro metodo?
Dal momento in cui ho realizzato che uno dei miei canali espressivi è la Fotografia, ho cominciato a portare sempre con me almeno una fotocamera, senza prestare eccessiva attenzione alla tipologia: Seagull, Welta, Praktica, Nikon, Olympus..ne ho tantissime, e mi diverto a collezionarle. Alcune mi sono state regalate, vecchi apparecchi dimenticati in qualche soffitta polverosa che era tempo di sgomberare, altre le ho comperate. Mi piace utilizzarle alternativamente, seguendo l’umore e l’occasione, o riprendere le stesse immagini utilizzando diversi dispositivi.
Il digitale è comodo, e lo uso spesso ad esempio per controllare l’esposizione di una stanza (dal momento in cui non ho un misuratore di luce). Ma è soltanto dal momento in cui ho cominciato ad usare la fotocamera analogica è stato amore a prima vista…è come se avessi finalmente trovato la mia lingua.
Ora sei di base a Berlino. Cosa ti impegna in questi giorni? Hai qualche progetto per il prossimo futuro?
In questo periodo mi sto dividendo tra mille progetti diversi. Continuo a lavorare sui nudi e sto programmando una seconda tappa del mio viaggio in Bosnia, che si concretizzerà a Settembre. A novembre sarò di nuovo in Croazia per l’apertura di una mia esibizione, questa volta dedicata in toto a Berlino. Questa città non smette di regalarmi nuovi stimoli: domani ad esempio ho un incontro per un photoshoot con un’artista della scena burlesque. Non vedo l’ora di cominciare. Ma ogni giorno mi regala qualcosa di nuovo: mi sveglio e mi lancio nel mondo, a catturare la luce perfetta.
Le opere di Ines Kotarac saranno in esposizione l’8 Agosto alla Werkstadt in Esmerstr. (qui l’evento Facebook). Per seguire l’evoluzione dei suoi progetti e saperne di più, questo il link alla sua pagina personale.
complimenti, grazie.
Rijeka in italiano è Fiume