Un luogo sacro per tre religioni: intervista all’architetto italiano della House of One di Berlino
Mentre scrivo questa storia, migliaia di Yazidi sono perseguitati dagli jihaidisti dell’Isis e la Palestina piange duemila morti dalla ripresa delle offensive con Israele. Guerre di religione che sacralizzano il gruppo o la terra di appartenenza.
La storia che qui racconto apre lo sguardo su Berlino, sul passato e sul futuro di questa metropoli. Racconta di due città che si fronteggiano dall’isola della Sprea alla sua sponda nord-orientale, di una chiesa medioevale riscoperta, di divisioni antiche e di nuove speranze di avvicinamento.
Partiamo da una vecchia immagine della Petrikirche, la culla di Cölln, città sorella di Berlino: una chiesa del 1200, tardo-romanica, poi ricostruita in stile alto-gotico, in seguito trasformata in una chiesa a tre navate con la facciata in mattoni. La chiesa sorgeva nella Gertraudenstraße, vicino alla Petriplatz, che nel XIII secolo era il punto centrale di Cölln.
La chiesa principale di Berlino era invece la Nikolaikirche. La città di Cölln sorgeva sulla Spreeinsel e si unì a Berlino nel 1307, con l’impegno di fare spazio per la costruzione del Berliner Stadtschloss, residenza del principe elettore Federico secondo. La Petrikirche subì le devastazioni di un fulmine e poi fu distrutta da un incendio.
Ridotta a una rovina, alla fine dell’800 fu ricostruita. Con il campanile che si elevava per 111 metri, la Petrikirche rimase a lungo il più alto edificio di Berlino.
Durante la seconda guerra mondiale vi si acquartierarono le unità SS e subì notevoli danni. Fu demolita negli anni ’60. La Petriplatz, trasformata in un parcheggio, rimase a lungo sotto uno strato di asfalto.
Ora servono 43,5 milioni di euro per far risorgere nella piazza un luogo di culto. Non più una chiesa, ma una Casa di preghiera e di studio, aperta alle tre religioni monoteiste. Noi de Il Mitte siamo stati tra i primi a parlarvi del progetto, nell’ottobre 2012.
Il rabbino Tovia Ben-Chorin, l’imam Kadir Sanci e il pastore Gregor Hohberg, battezzati “trio della tolleranza” (da una vecchia idea statunitense), immaginano una Chiesa per tutti, la House of One.
Voglio parlare del progetto non con un ulteriore rimbalzo della notizia, ma cercando un colloquio con l’architetto milanese Simona Malvezzi, che con lo studio KUEHN MALVEZZI ha vinto nel 2012 il bando del concorso internazionale per l’edificazione di un luogo di culto per le tre religioni di fronte alla Fischerinsel.
Architetto Malvezzi, ci parli di questa idea.
Nel progetto c’è una tensione importante tra le esigenze, i vincoli e le nostre idee. Abbiamo innanzitutto tenuto conto di una nostra prima tesi, secondo cui i tre luoghi di culto e lo spazio centrale della biblioteca devono stare allo stesso livello. D’altra parte la storica Petriplatz permette uno sviluppo solo limitato della pianta dell’edificio, che ci ha vincolati ad innestarci sulle fondamenta della chiesa precedente. Poi c’è la seconda tesi del nostro progetto: costruire senza soluzione di continuità direttamente sulla storia del luogo. La nostra terza tesi si connette con la precedente: costruire in maniera massiva con mattoni, realizzando uno spazio attraversabile dall’interno verso l’esterno. Questo comporta delle difficoltà di carattere statico e costruttivo, che sono risolvibili, ma che richiedono un altro modo di immaginare lo spazio anche agli ingegneri specializzati che sono abituati a pensare a muri esterni portanti, isolamento termico e rivestimento di facciata come parti di una costruzione a strati ottimizzata.
House of one sarà alta 40 metri, avrà al centro uno spazio aperto a tutte le religioni, predisposto ad accogliere 380 persone, su cui si aprono una moschea, una sinagoga e una chiesa. Come è stato pensato lo spazio centrale?
L’idea è quella di una piazza attorno alla quale si innestano le tre sale di culto: esse sono collocate in maniera uguale una rispetto all’altra e non una accanto all’altra, e in questo modo esse circondano la sala centrale con la cupola, cosicché la monumentale biblioteca nella piazza centrale è contemporaneamente l’ampliamento della Petriplatz all’interno dell’edificio tra le tre stanze sacre. La sala con la cupola mostra il proprio ruolo di spazio urbano e piazza anche attraverso la facciata di mattoni che si dispiega dall’esterno verso l’interno e segna la propria funzione di soglia.
Nella pratica, i tre spazi verranno utilizzati contemporaneamente per pregare tre forme diverse di Divino? Oppure nel progetto si fa spazio l’idea che il Dio delle tre religioni monoteiste sia lo stesso?
La sequenza degli spazi segue il principio della molteplicità nell’unità – e dell’eterogeneità in un unico edificio. I rituali sono diversi e non mischiati, ma nonostante questo l’edificio viene costruito con la sfida dell’essere universale e generale. Per noi è interessante rendere dal punto di vista costruttivo questa prospettiva nello stesso tempo interculturale e universale. Noi vediamo in questa tensione tra specifico e generico anche il compito dell’architettura. Si tratta della questione intorno alla possibilità di costruire un monumento ibrido. Inoltre a noi interessa l’architettura come intervento urbano, in quanto produzione di spazi urbani e contemporaneamente come creazione di modelli urbani. La Petriplatz oggi non è più riconoscibile nella sua forma storica. Da un lato la costeggiano strade di veloce scorrimento e grandi edifici abitativi solitari, dall’altro, in direzione dell’isola dei musei, una struttura a isolati più o meno intatta. In questa situazione la Bet- und Lehrhaus è necessariamente estranea al proprio contesto. Deve erigersi per se stessa e affermarsi. Sviluppandosi come una forma indipendente sulle fondamenta storiche, essa è entrambe le cose: continua e contrapposta rispetto alla situazione esistente.
I tre luoghi per il culto sono dunque paritetici, cioè uguali nell’organizzazione dello spazio, oppure per moschee, chiese e sinagoghe ci sono delle convezioni irrinunciabili che avete dovuto rispettare?
Sono sullo stesso piano ma diversi: ad esempio la moschea è orientata verso la Mecca, la Sinagoga verso Gerusalemme, ed entrambe hanno gli spazi dedicati alle donne. Un altro elemento è la luce, molto importante nel progetto, poiché essa – qui ricavata con dei tagli di diverso tipo all’interno delle pareti – ricopre un importante ruolo simbolico in tutte le religioni.
Il progetto ha sollevato anche del malumore, come si poteva immaginare. Alcuni sostengono che questa operazione (un luogo per tre culti) non sia nuova, altri lamentano l’eccessiva attenzione rivolta a questioni religiose e a spazi per la preghiera, e i cittadini cominciano a chiedersi quando si smetterà di aprire nuovi cantieri. C’è anche chi sostiene che la comunità musulmana non abbia risposto con entusiasmo al richiamo del “trio della tolleranza” e che quindi il progetto nasca con una debolezza interna.
La cosa interessante è che seppure questo dialogo tra i rappresentanti delle comunità era già in atto da anni, la vera attenzione da parte dei fedeli e della cittadinanza berlinese per il tema dei rapporti e del dialogo tra comunità è nata proprio nel momento in cui tale dialogo si è “incarnato” in un progetto. Per quanto riguarda la comunità islamica, l’imam Kadir Sanci che partecipa al progetto è già da tempo impegnato nel dialogo fra le culture e i popoli ed è il direttore di un centro interculturale che ha sede a Berlino. Si è da subito mostrato molto interessato all’iniziativa, e lo stesso vale per il rabbino Tovia Ben-Chorin. Naturalmente ci sono state anche delle polemiche perché non tutti credono nel progetto e ritengono che la sua visione sia impossibile da realizzare: non è ovviamente un progetto che può raccogliere una totalità di consensi, perché come sappiamo anche il tema del dialogo tra religioni – ognuna delle quali difende una verità, per di più rivelata – è molto delicato.
The House of One sorgerà a Berlino, una città che ha subìto nella sua storia profonde divisioni e orribili violenze. Per quali altri motivi è particolarmente significativo che la Casa della preghiera sorga qui?
Berlino è una città molto laica e progressista, ed è naturale chiedersi perché ora, proprio qui, sia nata l’esigenza di investire su un grande progetto legato alla religione. A mio avviso la questione ha un grande rilievo politico, legato al bisogno di segnare e di rappresentare la presenza molto forte delle tre comunità religiose a Berlino e in Germania, ma di farlo da un punto di partenza che sottolinei con decisione le dimensioni dell’incontro, della prossimità, della collaborazione e della mutualità, ma anche della conoscenza reciproca: non a caso si tratta di un luogo di preghiera e di “studio”. Come spiegavo, il dialogo tra gli “alti” rappresentanti delle singole comunità già esisteva, ma ora che esso sembra potersi concretizzare in qualcosa di tangibile, in un progetto per tutti, l’entusiasmo per la collaborazione e l’interesse a dare ognuno il proprio contributo alla riuscita del progetto si sono fatti ancora più forti all’interno delle comunità e della cittadinanza tutta.
Secondo lei perché il progetto presentato dal vostro studio di architettura ha vinto il concorso? Cosa ha convinto di più?
Forse siamo riusciti a vincere questo bando proprio perché nel nostro progetto la rappresentazione spaziale e architettonica delle tre religioni avviene rigorosamente sullo stesso piano, in una dimensione estetica di spiritualità diffusa e ‘universale’ che – questo nella nostra idea – le coinvolga tutte pur preservando le differenze e le identità di ognuna. La verticalità dunque esiste nel nostro progetto, ma non è una verticalità volta a definire una gerarchia tra i tre luoghi di culto – come invece accadeva in altri progetti che hanno partecipato al bando – quanto piuttosto una verticalità spirituale, religiosa, rispetto alla quale le tre fedi possano identificarsi in una dimensione di pari dignità e di reciprocità. Per questo non abbiamo costruito torri o altro: al contrario, l’aspetto esterno dell’edificio è il risultato diretto del graduale ‘crescendo’ di volumi interni che culmina nel volume più alto che però si relaziona pariteticamente con ognuno dei luoghi di culto, nonché con il grande spazio centrale che essi condividono. Inoltre, la costruzione realizzata interamente in mattoni all’interno e all’esterno darà l’impressione di un blocco unico, di un monolite, scavato al suo interno.
Mi parli della sua collaborazione con i colleghi dello studio KUEHN MALVEZZI: come è nata?
Abbiamo fondato KUEHN MALVEZZI dopo aver vinto il concorso per l’architettura di Documenta 11 a Kassel. L’arte contemporanea è sempre stata al centro dei nostri interessi e del nostro lavoro e non a caso i primi progetti sono state gallerie d’arte.
Lei lavora anche in Italia? Qual è stato il suo ultimo progetto italiano?
L’architettura di una mostra alla Triennale di Milano curata da Francesco Bonami dal titolo ‘The Sea is my Land’.
E in Germania?
Attualmente KUEHN MALVEZZI, oltre ad aver completato l’ampliamento del Museum Berggruen a Berlino, sta portando a termine la nuova presentazione della collezione del museo Herzog Anton Ulrich a Braunschweig, la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen e il Kunstgewerbemuseum a Berlino.
Nel corso della sua carriera ha potuto constatare un diverso approccio all’Architettura in Italia e in Germania? Mi riferisco soprattutto alla possibilità per i giovani architetti di lavorare a grandi progetti.
In Germania ci sono molti più concorsi a cui i giovani architetti possono partecipare. Inoltre le istituzioni hanno a disposizione molti più fondi per la cultura, ed in generale vi è un grande interesse per l’architettura e l’arte.
Ringrazio l’Architetto Malvezzi, soprattutto per avermi comunicato il contenuto e le ragioni di questa scommessa. Anche la scelta della modalità di finanziamento è sperimentale e costituisce un invito alla partecipazione collettiva. Sul sito di House of One è stata avviata una operazione di crowdfunding: con dieci euro qualsiasi cittadino del mondo potrà acquistare un mattone, pagando in qualsiasi valuta. Sinora sono stati raccolti circa quarantamila euro e molti messaggi di incoraggiamento: si arriverà a raccogliere 43,5 milioni di euro? Ancora una volta il mondo guarda Berlino.
bell’articolo, brava!