Interviste

La vita di due rocker americani a Berlino: intervista agli Eat Lipstick

eatlipstick2di Lucia Conti

Gli Eat Lipstick nascono dall’incontro tra Anita Drink e The Shredder e catturano molto presto l’attenzione di molti artisti già affermati, tra cui Peaches e Texas Terri, con cui la band inizia a collaborare. Le suggestioni rock, punk e glam del combo e l’estetica spregiudicata e originale dei suoi membri, rendono il progetto uno dei più interessanti e anche dei più attivi della scena alternative berlinese.

Ci facciamo narrare la storia della band da entrambi i suoi membri. Anita, alla voce, ci racconta di essere stata «sempre attratta dal punk, dal glam, dal trash e da figure come Jayne County, David Bowie e personaggi simili».

Siete entrambi americani. Quando ti sei trasferita a Berlino e cosa ti aspettavi di trovare?
AD: Mi sono trasferita dieci anni fa, cercando la Berlino delle suggestioni anni settanta che sognavo quando ero in America. Era così romantico per me, anche perché adoro Jayne County, David Bowie, Iggy Pop e molti di questi artisti sono stati “berliners”, nel senso che per un periodo hanno vissuto e creato qui. Uno dei miei sogni, al momento, è proprio far tornare Jayne County. Mi piacevano anche Nina Hagen, la saga di Christiane F., il solitario Nick Cave e tutto lo scenario berlinese cosiddetto “decadente”. Ho fantasticato molto su questo contesto.

C’erano anche altre influenze?
AD: Ovviamente ero attratta da tutta la musica elettronica che caratterizzava il circuito berlinese, soprattutto nei primi anni ottanta. Ero molto consapevole dell’influenza esercitata a quel tempo da band europee vicine alla Germania, come gli Yello, per esempio, che mi hanno influenzata davvero molto, e quindi per me è stato naturale approfondire l’argomento. Una volta, da dj alle prime armi, quando ancora vivevo negli Stati Uniti, ero in un ottimo negozio che vendeva dischi di importazione e mi capitò per puro caso di scoprire i Can. In realtà io cercavo senza successo un disco dei Kraftwerk, quando il proprietario del negozio mi disse: “Devi assolutamente ascoltare questo!” e mi passò un disco dei Can. Sai com’è, tutti hanno sempre un’opinione su qualcosa che vogliono disperatamente segnalarti… alla fine accettai il suo consiglio ed effettivamente il tipo aveva ragione, perché il disco era decisamente interessante.


La città ti ha in qualche modo delusa?
AD: All’inizio sì, perché sognavo il ghetto romantico che avevo conosciuto attraverso tutte le suggestioni che amavo e che invece non riuscivo a riconoscere, ma poi ho trovato quello che cercavo e tutto ha cominciato a sembrarmi migliore, il contesto, l’atmosfera e il circuito musicale, che si è evoluto così tanto a partire dagli anni settanta in poi, anche se non riesco più a giudicarlo dall’esterno, perché ne facciamo ormai parte. Trovo che Berlino resti un luogo “cardine” per la musica e anche se il suo aspetto continua a cambiare si respira comunque questa mitologia… te ne accorgi per le strade, è nell’aria della città. Berlino è così, Berlino è un unico grande CBGB, dove trovi diversi livelli di “sporco” e di glamour.

E cosa ti attrae maggiormente in tutto questo?
AD: La varietà. La possibilità di esplorare tutti i livelli del glam e del punk e di esprimermi al meglio. In questo senso e in questo contesto posso dare e ricevere molto, perché la mia indole estroversa e chiassosa e persino il mio modo di risultare “aggressiva” sono di fatto percepiti nel modo giusto, cioè come il riflesso di una dolcezza anomala che alla fine cattura la gente.

Cosa puoi dirci di te, Shredder?
The Shredder: Sono arrivato qui sette anni fa e ho scelto di vivere a Berlino perché all’epoca ero esclusivamente concentrato sulla musica elettronica. Nel corso del primo anno ho lavorato a un album che non ha mai visto la luce, non conoscevo nessuno ed ero completamente solo, ma nel tempo ho cominciato a frequentare più persone, all’inizio legate al circuito che mi interessava. Negli anni ottanta e novanta, da autodidatta, avevo avuto una fase metal, diventare un musicista elettronico è stato il mio modo di provare a lavorare su qualcosa di diverso… quando cresci funziona così, fai diversi tentativi e cerchi la tua strada. Comunque qui a Berlino ho avuto prima una band che potremmo definire di elettronica minimal (ma che si distanziava dai canoni degli anni novanta), poi un’altra band simile, ma con orientamento più dark, poi un’altra band ancora… insomma, ho sperimentato diverse combinazioni e alla fine è nato “The Shredder”. Ora la chitarra è tornata.

AD: Siamo sempre stati interessati alla musica elettronica e siamo entrambi anche dj.

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Oltre agli Eat Lipstick, avete altri progetti?
S: Diversi, ma sostanzialmente sono delle “project bands”: i Caravaggio’s kiss hanno un orientamento new wave, gli Stop Your Life, con Mad Kate, un taglio soul, disco e house e gli On The Nature of Auditory Illusions si dedicano all’elettronica sperimentale.

Come sono nati gli Eat Lipstick?
AD: Ho sempre militato in band rock e punk fin da quando avevo quindici anni, ma in realtà quando sono venuta a Berlino volevo fare la fashion designer, il mio “alter ego” non era interessato alla musica, in quel momento. Poi un’amica, Clea Cutthroat (che in seguito è entrata anche nella band), mi disse che aveva bisogno di un progetto speciale per una festa ed è così che sono nati gli Eat Lipstick. In quella circostanza ho anche incontrato The Shredder. Doveva essere un solo show, poi gli show sono diventati due… ed eccoci qua! Volevamo che la band avesse una dimensione elettronica, quindi siamo andati avanti per questa strada per diverso tempo. Poi siamo diventati… non esattamente più popolari, diciamo più famigerati, a Berlino, e diverse persone si sono offerte di suonare con noi, tra cui Tom Petersen, il nostro attuale batterista. Continuava incessantemente a proporsi e io continuavo a dirgli “Niente da fare! Vattene! Sparisci!”.

Come mai?
S: Avevamo scelto di dare una veste elettronica alla nostra musica anche perché non volevamo coinvolgere altri elementi… sai com’è, più persone, più problemi! Poi tutto è cambiato, anche perché Kevin Mooney si è unito al gruppo come bassista e a quel punto con un basso, una chitarra, una batteria e una voce si può dire che la line-up fosse completa e la cosa ci piaceva. Siamo saliti sul palco per la prima volta senza aver provato con il batterista e avendo fatto una sola prova tra noi in una sala nel bel mezzo del nulla, ma quella gig ci ha convinti a continuare. Con la musica elettronica sapevi quello che facevi e tutto era abbastanza prevedibile, con una vera band si doveva ripensare tutto e questo creava più confusione, ma anche emozioni più intense…

AD: Adesso non possiamo più tornare indietro!

Come definireste la band, al momento?
A.D.: Come un’idra a tre teste: c’è la dimensione elettronica, ci sono gli show acustici e c’è l’elemento rock. In futuro inoltre non è escluso che si lavori su uno stile che le persone non si aspettano, anche visivamente, qualcosa di originale e diverso sia da un band, sia dall’idea del “solo artist”.

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Molti artisti hanno collaborato con voi, sul palco o nei video. Tra i tanti anche Peaches e Texas Terri…
AD: Ne siamo davvero felici. Tutto questo è successo quando si è cominciata a creare dell’attenzione attorno a noi, a Berlino, e molti artisti che stimiamo hanno cominciato a supportarci.

Il titolo del vostro singolo (e relativo video) è “Murder by Madonna”. Qual è il concept?
AD: Fondamentalmente Anita e The Shredder si sono stancati di guardare per ore quello schifo di Mtv nell’attesa di trovare un video decente invece di milioni di teenagers che giocano con le loro tette e vulve allo Spring Break 2014… Disneyland ed Mtv oppure CRIBS, tutti shows che non hanno niente a che fare con l’Mtv che noi amiamo, vale a dire musica costante, video e la possibilità di assistere a una performance stando nel salotto di casa. Hanno fottuto tutto e io penso che Madonna e il fatto che ogni cosa al mondo sia stata “madonnizzata” abbiano avuto una parte in tutto questo. Basta pensare a quello che spesso capita sia a me che a The Shredder quando facciamo i dj. La gente balla, non si percepisce nessun desiderio di ascoltare Madonna e poi a un certo punto spunta sempre qualcuno che chiede: “Ce l’hai qualcosa di Madonna?” e noi rispondiamo “No, non ce l’ho qualcosa di Madonna!”. E poi c’è stato il caso Pistorius, che mi ha fatto molto effetto, e ho pensato: “Hey, che giustapposizione interessante! Lui ha ucciso la sua ragazza nel bagno… io posso uccidere Madonna!”. E al di là di tutto è un giocare con le parole e con l’effetto che hanno sulla realtà… per me è fantastico il fatto che una ragazza bianca del New Jersey, figlia di genitori italiani, possa aver monopolizzato il termine “Madonna” per sempre. Non importa a chi lo chiedi, puoi chiederlo persino a un cattolico, ma tutti penseranno a lei come alla “vera” Madonna… ormai è più famosa della Vergine Maria.

Il modo in cui apparite ha sfumature inevitabilmente queer, la vostra musica connotazioni rock, electro, glam e punk. Come descrivereste tutto questo?
S: Abbiamo effettivamente un’estetica queer, ma ci muoviamo su una specie di linea di confine… è difficile spiegarlo. Berlino è sicuramente una “capitale” in questo senso, come San Francisco, ma per quanto mi riguarda l’elemento queer si esprime sul palco, nel senso che quando mi esibisco posso essere donna o uomo allo stesso tempo, è un concetto artistico che non implica una connotazione gay e non ha neanche niente a che fare col sesso. Più in generale siamo al di là di ogni standard e credo che questo a volte incuta timore proprio in quel circuito all’interno del quale potremmo diventare popolari, perché comunque ci si addice. A volte ne parliamo tra noi e la risposta che ricevo è: “Non lo so, Shredder, in realtà ti odiano tutti!”.

AD: Mi viene in mente la Factory di Andy Warhol, dove non si riusciva a capire chi fosse gay e chi fosse etero, questo fatto era destabilizzante e così l’essere “quasi queer” o “quasi asessuale” diventò molto di moda. Poi questa moda passò perché la gente cominciò a stufarsi, tornò di nuovo in auge per un breve periodo in posti come il CBGB e all’interno della scena punk newyorkese, sfumò ancora e negli anni novanta si ripropose, quando Jayne County e altre figure che amiamo recuperarono la formula che vedeva drag queens, gay ed eterosessuali riuniti in piccoli clubs di fronte a una rock band… quindi non parliamo della solita discoteca gay o di come potresti immaginarti un locale queer con musica elettronica o new wave. Era puro punk, pura estetica punk e una band live focalizzata sulla musica. Questo è esattamente il nostro intento attuale. Ovviamente, sul piano dell’adesione ai valori di fondo del movimento queer, inutile dire che siamo per la libertà assoluta dell’individuo, nella vita, nel sesso e in generale sempre.

Curate da soli la vostra immagine?
S: Anita cura al dettaglio l’estetica della band, anche i vestiti sono tutti interamente fatti a mano.

AD: Anita è la Diana Ross del punk, può fare tutto, eccetto guidare ubriaca!

Su cosa state lavorando al momento?
AD: Stiamo registrando un album, ci stiamo lavorando da sei anni e ci sono voluti sei anni per avere al punto in cui siamo ora e maturare la visione che abbiamo adesso del nostro lavoro. Siamo davvero felici. Le registrazioni proseguiranno nei prossimi mesi, nel frattempo ci piacerebbe anche tornare in tour. Vorremmo iniziare dall’Italia, perché amiamo l’Italia, e dall’Inghilterra, perché lì abbiamo diversi amici e connessioni.

Quanto ci sarà di “electro”, in questo nuovo lavoro?
AD: Solo una canzone, perché non dimentichiamo le radici e perché è stata scritta da Cleo Cuttrhoat, che è un membro originale della band, quindi è una sorta di omaggio.

S: Il nuovo lavoro sarà glam, punk, rock, ma in una direzione assolutamente moderna, non voglio essere etichettato come uno che suona musica degli anni settanta o ottanta, io voglio suonare come nel 2014. Anche se abbiamo di sicuro delle influenze, vogliamo elaborarle in modo originale.

AD: E non faremo nulla che non saremo in grado di fare live! Una delle mie band preferite sono i Rolling Stones e quando si esibiscono suonano esattamente come li hai ascoltati su disco. Ovviamente faremo degli interventi minimi, ma non avremo una produzione invasiva e non otterremo un risultato che non possiamo riprodurre live, quindi… “keep it rock, keep it honest!”. Vorrei anche aggiungere alla band un cantante gospel… mi piace creare confusione nel pubblico.

Quanto vi ha cambiati Berlino?
AD: Stando ormai qui da tempo, mi piace essere percepita in America come una sorta di entità semieuropea… inoltre voglio cercare di acquisire un po’ del glamour della “vecchia” Berlino… non so come farlo succedere, ma lo voglio!

Per concludere… cosa ama Anita Drink?
AD: Niente.

Cosa odia?
AD: Tutto.

Cosa ama The Shredder?
S: Gli Eat Lipstick.

Cosa odia?
S: Gli Eat Lipstick.

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