Voto allargato agli stranieri nei referendum: ora Berlino ci pensa

© Dennis Skley / CC BY-ND 2.0
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di Sara Lazzari

La maggioranza dei berlinesi è a favore dell’estensione del diritto di voto nei referendum (comunali, regionali e nazionali) agli stranieri, ovverosia a coloro che risiedono permanentemente all’interno dei confini dello stato tedesco, siano essi cittadini di altri stati membri dell’EU o di paesi extraeuropei.

Questo è quanto risulta da un sondaggio effettuato da Forsa (istituto per la ricerca sociale e l’analisi statistica), su commissione del partito dei Piraten. Dei 1003 cittadini intervistati, ben il 69 % si è dichiarato a favore, il 4% resta indeciso mentre il 27% è contrario.  Le preferenze politiche sono prevedibilmente facili da incasellare: i favorevoli sono perlopiù elettori di Linke e Verdi, mentre gli oppositori si schierano con la CDU della Merkel.

Del problema della voce politica degli stranieri se ne era parlato già lo scorso anno, a ridosso delle elezioni parlamentari, e si è riproposto in occasione del referendum sull’ex aereoporto di Tempelhof: in entrambi i casi i cittadini di “serie B” non hanno avuto la possibilità di esprimere la loro preferenza, nonostante gli esiti delle votazioni li investano in pieno.

Fabio Reinhardt, esponente dei Piraten, sottolinea come proprio le questioni inerenti lo sviluppo urbano riguardino in particolare i gruppi sociali esclusi dal voto: sono loro, ad esempio, i più colpiti dall’impennata degli affitti e dalla conseguente espulsione dal centro città. La legittimità dei progetti di architettura urbana, sostiene Reinhardt, dipende dal consenso di tutta la popolazione, non soltanto di quella in possesso di passaporto tedesco.

I berlinesi di nazionalità tedesca sono poco più di tre milioni, quasi 500.000 quelli di cittadinanza straniera. Questi ultimi vivono in Germania da anni, perfino da decenni; lavorano, pagano le tasse e sottostanno alle stesse regole. Ma non hanno il diritto al voto. Un cittadino europeo non tedesco ha la possibilità di prender parte alle elezioni europee e a quelle circoscrizionali, mentre a chi proviene da un paese extra EU è preclusa anche questa opzione.

L’associazione berlinese Wahlrecht für Alle, costituita da privati cittadini e rappresentanti di varie organizzazioni civili, si impegna da anni per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema e per spingere verso una riforma della legislazione in merito. Nel 2011, in occasione delle elezioni politiche locali, ha dato corso alla campagna Jede Stimme, incentrata sulla questione della (assente) partecipazione politica degli stranieri a Berlino e della deformazione della prassi democratica che ne deriva.

Quasi un sesto dei berlinesi è escluso dal meccanismo elettorale, dunque. Ma le cifre sono destinate ad aumentare: si pensi che nella capitale circa il 20% degli abitanti ha una storia di migrazione alle spalle e che ogni terzo bambino nato è figlio di immigrati. Ciò basta a rendere la questione sollevata dai Piraten assai più che una provocazione: il problema è reale e si connette al quadro globale di una “società liquida”, attraversata da flussi migratori sempre più consistenti e sempre meno controllabili.

Ma quale, allora, la soluzione? Allo stato delle cose, per ottenere la cittadinanza tedesca bisogna essere residenti in Germania da almeno sette anni, avere delle entrate fisse, padroneggiare la lingua tedesca e sostenere degli esami sul sistema legislativo e sulla cultura tedesca. Un processo infinito, che molto spesso si allunga ulteriormente per le bizze della macchina burocratica.

La situazione è diversa, invece, in altre grandi capitali europee: Londra, Budapest, Copenaghen e Amsterdam hanno già introdotto il diritto di voto per i cittadini stranieri (seppure in diverse declinazioni) e ottenuto, con ciò, notevoli risultati nei processi di integrazione.

Finora i tentativi di più parti politiche (oltre ai Piraten, vediamo anche Linke e Verdi schierati a sostegno dell’allargamento del diritto di voto) di ottenere modifiche sostanziali alla legislazione vigente si sono arenati contro gli ingranaggi dell’alleanza rosso-nera, attualmente al governo del Parlamento berlinese.

Quello che è certo è che una modifica di tale genere non può avvenire senza un emendamento del sistema legislativo nazionale (il Grundgesetz), il che è peraltro auspicabile; la Germania occupa 96 seggi nel Parlamento europeo, che sono calcolati non in base al numero di cittadini, bensì sul numero di residenti: questo significa che oltre quattro milioni di persone vengono rappresentati da politici che loro stessi non hanno il diritto di scegliere.

In attesa di una soluzione, restiamo tutti coinvolti in questo dibattito, in cui si cerca di ripensare – insieme-una nuova idea di “cittadinanza flessibile” in grado di adattarsi alla società in evoluzione.