Il senso della memoria collettiva di Berlino
di Dario J. Laganà
La Memoria Collettiva, quella che interessa l’intera comunità e che riguarda noi tutti, è profondamente legata alla storia di un paese e agli avvenimenti intercorsi nel suo passato e, nella versione più semplice, viene portata avanti attraverso l’attribuzione di nomi di strade, targhe, statue o veri e propri monumenti.
La Germania in generale e Berlino in particolare hanno vissuto in questo ultimo secolo avvenimenti talmente significativi e forti che la città rischia in un certo senso di trasformarsi in un enorme impianto commemorativo.
Si deve però essere onesti nell’osservare che, sebbene i tedeschi non abbiano molti avvenimenti positivi nel XX secolo di cui è necessario lasciare traccia nella collettività (su tutti ovviamente gli accadimenti legati al Nazismo che hanno coinvolto direttamente tutto il mondo e la storia più interna della DDR e della Stasi), il loro sforzo in tal senso è veramente grande.
Non esiste nessuna città al mondo dove il senso del proprio fallimento è così fortemente riconvertito nella necessità del ricordo, dove tutte le comunità hanno trovato (in tempi diversi) un mausoleo per ricordare la loro storia personale. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello dei Sinti e dei Roma costruito nel Tiergarten a pochi passi dal Reichstag e quello dei 25 anni della Caduta del Muro (anche se sarà inaugurato in ritardo per le celebrazioni dell’Autunno).
Esistono varie motivazioni legate a questa catarsi, innanzitutto l’elevatissimo senso di colpa per essere stati protagonisti o spettatori di tali avvenimenti (o anche solo l’appartenere allo stesso popolo che li ha prodotti) e l’obbligo morale di dare a tutti il giusto spazio per ricordare. Non manca altresì la volontà di riscatto, di prender finalmente distanza da un passato ingombrante e arrivare ad un’emancipazione (anche se di fatto i tedeschi hanno ancora argomenti tabu su cui si confrontano poco anche all’interno delle loro cerchie).
L’altra grande motivazione è la lungimiranza nel capire che queste ferite sono una possibilità economica e turistica senza eguali. Berlino è una città affascinante, ma sicuramente non è una città bella, dopo la guerra moltissimo è stato ricostruito e anche le ricostruzioni, ad Est come ad Ovest, sono state dettate da guerre ideologiche che poco hanno giovato alla bellezza della città. E la città ha anche bisogno di soldi e di un piano per riallinearsi al resto della Germania e al resto d’Europa.
Si immagina la memoria collettiva, quella che è fondamento della nostra identità culturale, come qualcosa di stabile, di dato per scontato, di attribuito al passato e su cui si sorvola. Brian Ladd nel suo libro “Ghosts of Berlin”, riprendendo un pensiero di Nietzsche, dice che la società ha bisogno di cancellare selettivamente alcuni avvenimenti storici per poter poi guardare avanti verso il futuro.
Sebbene questo sia vero da una parte e pericoloso dall’altro (bisognerebbe sempre chiedersi chi opera le scelte e per quale motivo), cancellare gli ingombri della storia e riempire la città di monumenti non è sufficiente. Questi infatti possono diventare monoliti granitici senza sostanza, se non esiste un percorso di sensibilizzazione e se di fatto oltre il monumento non esiste la possibilità di approfondire. Per questo la memoria è invece qualcosa che va di giorno in giorno rinvigorita, aiutata, che necessita di uno sforzo attivo per compiersi, che il solo esserci non costituisce la base per una collettività più attiva e vigile.
Si dice spesso, usando un mantra di cui si ignora il senso profondo, che è necessario ricordare affinché quello stesso evento tragico non si verifichi di nuovo nel futuro. Sfortunatamente quest’attitudine, assolutamente giusta, non basta a creare i presupposti perché la storia non si ripeta. Sostanzialmente perché le persone che necessitano di ricordare non sono state protagoniste di quelle storie, ma ne sono state per la maggior parte o spettatori o nei casi dei berlinesi moderni, il frutto culturale di un periodo; quindi più che la necessità del ricordo, hanno bisogno di arrivare a ricostruire la storia dei luoghi e degli avvenimenti di cui è necessario fare tesoro e con cui è necessario costruire un legame empatico.
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Un caro amico, Piero Terracina – unico sopravvissuto della sua famiglia ad Auschwitz (leggi l’intervista di Lucia Conti) – ha detto una volta che se è vero che i nipoti degli aguzzini non sono aguzzini, è pur vero che i nipoti delle vittime non sono a loro volta vittime – volendo sottolineare come sia necessario educare le nuove generazioni alla conoscenza dei fatti accaduti e di come sia improprio pensare che le generazioni successive siano ‘vaccinate’ a simili orrori solo per il fatto che questi siano stati vissuti dai loro familiari.
La maggior parte dei Gedenkstätte (i Memoriali tedeschi) non sono solo monumenti, ma sono qualcosa di più, sono luoghi dove la memoria viene riscoperta, dove è possibile, oltre al monumento commemorativo, trovare una serie di informazioni e di chiarificazioni che accompagnino questo percorso.
Per quanto il monumento necessiti di una forma tale da attirare l’attenzione del visitatore per costruire un legame empatico rispetto all’argomento trattato, è poi necessario veicolare quell’attenzione verso informazioni più specifiche, senza le quali gran parte dell’energia andrebbe sprecata. E’ necessario costruire un binomio tra l’emozione suscitata dal monumento e la documentazione proposta.
Maurice Halbwachs, filosofo e sociologo Francese morto nel Campo di Concentramento di Buchenwald per le sue idee socialiste, scrisse nel suo libro “La Memoria Collettiva”che “i sentimenti e le riflessioni, come tutti gli altri eventi, devono essere ricollocati [nella memoria] in un luogo dove ho risieduto o dal quale sono passato e che ancora esiste.”
È difficile, per una città in espansione e in continuo rinnovamento, deturpata per così tanti anni dalle Baustelle (fino a che queste sono diventate parte integrante del paesaggio urbano e elemento di quotidianità), riuscire a bilanciarsi tra la necessità del ricordo e le potenzialità del movimento.
Si è più volte avuto modo di dire che Berlino non è una città-museo, essendo centro dell’Europa non ci si può aspettare una stanzialità che invece viviamo in altre città Europee; proprio per questo la scelta di cosa conservare, di cosa far rivivere e di come affrontare i discorsi risulta fondamentale, se si considera il ricordo come un dovere morale della collettività, sia in relazione al passato, ma molto di più per il futuro.
Anche noi che abbiamo scelto di vivere qui come nuovi cittadini berlinesi abbiamo l’obbligo di conoscere, perché da noi parte la nuova memoria collettiva di questa città.
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Si ringraziano Tiziana Gagliardini e Cristiano Corsini per la preziosa consulenza
DarioJ Laganà, autore del Blog “Elephant in Berlin”, si occupa di documentazione storico/sociale della città e dei suoi cambiamenti.
È tra i promotori del Concorso Fotografico “Frammenti Visivi di Berlino” (in scadenza oggi 10 giugno) e sarà presente al Workshop di Fotografia di Strada di Stefano Corso “Berlino. Frammenti Visivi tra Storia e Fotografia” che si terrà a fine giugno.
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Trovo che alcuni monumenti non riescano a “costruire un binomio tra l’emozione suscitata e la documentazione proposta.” Le informazioni sono molte e il modo in cui vengono comunicate è talmente pulito e ordinato da lasciare i fruitori indifferenti. Vorrei più interpretazione artistica (vedi il museo della memoria di Ustica a Bologna) e meno museificazione didascalica.