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La lezione europea di Martin Schulz

[© SPÖ Presse und Kommunikation on Flickr / CC BY SA 2.0]
Martin Schulz, 58 anni [© SPÖ Presse und Kommunikation on Flickr / CC BY-SA 2.0]

di Serena Garulli

«Sono cresciuto come un europeo dell’Ovest. Per la mia generazione, quella cresciuta ai confini occidentali della Germania, l’Ovest era Europa».

Con queste parole Martin Schulz, candidato alle prossime elezioni alla guida della commissione europea per l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, si è rivolto alla platea di studenti che il 22 aprile scorso lo ha accolto nella prestigiosa biblioteca Albertina di Lipsia.

Silenziosi e attenti, intimoriti e curiosi. Un palcoscenico unico, elegante e raffinato. Unico anche il tema, complesso e «da non sottovalutare», fa notare agli studenti Schulz, ancora poche settimane alla presidenza del Parlamento europeo.

Si è parlato delle sfide che attendono l’Unione Europea.

«Se riusciremo a portare l’Ucraina in Europa? Si e no. È questa la sfida? No, la vera sfida è proteggere i valori europei, quelli che la carta dei diritti fondamentali ha voluto fissare prima di tutto con la dichiarazione dei diritti dell’uomo. La sfida è proteggere la multiculturalità europea, che dell’Europa è la sola forza e ricchezza», ha spiegato il candidato alla Presidenza.

«Dobbiamo impegnarci a sfidare la paura, quella che proviamo nei confronti degli altri, gli sconosciuti. La paura, che porta l’essere umano a chiudersi e sparire nella propria cultura e nella propria lingua, è diffusa e concreta».

In piena campagna elettorale, riscopriamo un Martin Schulz agguerrito. Il Presidente è pronto a difendere il suo Parlamento, dipinto nelle sue parole come uno dei più importanti centri di potere politico ed economico al mondo. L’uomo protegge le sue idee. E lo fa, bisogna ammetterlo, con coscienza e determinazione.

Si comincia con un riferimento a Nizza. Il trattato firmato nel 2001, trattatosi per molti di un autentico fallimento, si poneva in fondo un solo obiettivo: riponderare le dimensioni e la composizione della commissione europea, in vista di un allargamento dell’UE ai paesi dell’ex Unione sovietica.

Un trattato che, secondo il Presidente, avvenne come conseguenza del tutto logica alla necessità di attribuire maggior potere alle istituzioni europee, continuando a sostenere le sovranità nazionali.

Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Il problema si nasconderebbe proprio in questo strano compromesso: qualsiasi obiettivo realizzato, ogni buona idea concretizzata viene ricondotta ad una buona politica del territorio nazionale; le sconfitte e i buoni propositi mancati divengono inevitabilmente una croce sul petto dell’Unione.

Proprio il concetto di territorialità oggi pone interrogativi importanti, circa il destino dell’Europa. Quel sentimento di “territorialità aggressiva” spinge forze, vecchie e nuove, sulla scia di quei populismi che per il sogno europeo rivestono da sempre un’autentica minaccia. «È il modello democratico europeo che deve vincere», continua Schulz, «quello devono difendere le forze europee, all’interno dell’Europa, tutte insieme».

«Perché Cina e Vietnam possono permettersi di imporsi sul mercato con un prodotto più economico? Perché cittadini e risorse in quei paesi vengono sfruttati. Perché quei valori, fondamentali, che noi diamo per scontati, forse tanto scontati non sono. Quei paesi non devono essere per noi uno standard».

Vuole smetterla il Presidente di fare riferimento ad indicatori e standard economici. Introduce invece un concetto nuovo: l’Export di cultura. L’Europa dovrebbe imparare a esportare se stessa, la sua lingua, le sue tradizioni, esigendo che le sue regole vengano rispettate. Questa, secondo Martin Schulz, è la sfida più grande: riflettere insieme su cosa vogliamo essere e cosa sentiamo di voler diventare. Poi, agire di conseguenza.

Conclude con una riflessione, Schulz: «L’Asia è in movimento. Presto firmeranno un loro Asia Pact, conieranno la loro moneta, quando la Germania, da sola, sarà troppo piccola. Immaginatevi questo futuro». E scegliete l’Europa, sembrava aver dimenticato.

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