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Un giaccone galeotto: storia di un amore primaverile a Berlino

[© Amanda Slater on Flickr / CC BY SA 2.0]
Amanda Slater on Flickr / CC BY SA 2.0]

di Alessandro Brogani

Viaggiava spesso fra Roma e Berlino. Le vicissitudini della vita lo avevano portato a non badare più molto ai piccoli fatti quotidiani sui quali inciampava accidentalmente ed il passare degli anni gli aveva creato una patina di indolente indifferenza proprio lì, sul fondo dell’anima.

Erano state, quelle appena passate, vacanze pasquali non facili. Tornare a “casa”, quando una casa che senti tua non ce l’hai più e quella che è diventata la tua nuova “casa” non la senti ancora tale; tornare in un ambiente familiare “difficile”, dove i tuoi maggiori affetti, quelli che “normalmente” dovrebbero essere tali, non sono rappresentati dai tuoi familiari più prossimi, ma da amici che sono stati i succedanei di un sentimento familiare mancato; tornare e constatare che il tempo passa, inesorabile e ti mette alla prova per l’ennesima volta con i mali fisici della vita, tuoi o di chi ti è più prossimo. Insomma una prova ad ostacoli più che una vacanza.

Questo in sintesi il “fardello” con cui, tra il senso di liberazione da un periodo oggettivamente pesante e la nostalgia causata da una partenza, vissuta per l’ennesima volta da un pezzo della propria vita, si accingeva a tornare verso il proprio futuro.

Volo pomeridiano questa volta, quando in primavera le giornate sono più lunghe ed anche ad ora tarda la luce ti fa sentire meno malinconico. Le solite famiglie con bambini piccoli, i soliti ragazzi chiassosi che scherzando riempiono l’aria di fastidiosi suoni gutturali e non, i soliti tizi silenziosi, come lui del resto, che osservavano gli altri dietro uno sguardo inquisitore e di noia.

Aveva preso un volo low cost, perché s’era attardato a fare il biglietto ed aveva trovato posto solo lì; questo lo infastidiva un po’, tanto a causa dei sedili più angusti quanto per le restrizioni imposte dalla compagnia sui bagagli. In fin dei conti, aveva pensato, si trattava solo di volare per poco meno di due ore.

Usava in genere tentare di salire per primo sugli aerei, anche se il posto era già assegnato, e questo per una ragione che aveva a che fare con il suo carattere un po’ spigoloso, da persona precisina, come un po’ tutti quelli del suo segno zodiacale, avrebbe detto se avesse creduto nell’oroscopo. In realtà il motivo era che sapeva quanto fosse difficile trovare un “buco” libero per il proprio bagaglio a mano sui voli e non voleva rischiare di dover vedere la propria valigia ed il soprabito messi dalla parte opposta dell’aereo.

Era meglio arrivare fra i primi e prendere comodamente posto per sé e per le proprie cose: molto più facile anche all’arrivo per scendere senza dover aspettare una vita l’uscita degli altri. Così fece anche in quell’occasione: salì fra i primi, salutò il personale di bordo, trovò il suo numero e mise il bagaglio proprio sopra il proprio sedile. Poi si sfilò il giaccone, lo piegò al meglio perché non si sgualcisse del tutto e si mise a sedere in attesa che arrivasse il resto dei passeggeri.

Non gli era di certo sfuggito, in tutto questo suo da fare, che fra l’equipaggio a bordo c’era una donna molto bella, ma l’indolenza di cui dicevamo prima ed un fatalismo a cui s’era ormai abituato facevano sì che il pensiero di come entrarci in contatto gli rimanesse relegato in un angolo remoto della mente. Intanto l’aereo si popolava di corpi e di rumori ed il momento del decollo si avvicinava sempre più. Ed ecco il momento fatale: la bella assistente di volo si avvicinò per “sistemare” le valigie e spostò, pressandolo ben bene, il suo giaccone in un interstizio fra i bagagli.

Non l’avesse mai fatto! Il suo giaccone “nuovo nuovo”! Come osava? Il nostro s’alzò stizzito e con un gesto di fastidio in volto s’apprestò a risistemare l’oggetto già completamente deturpato, nella sua mente, così come lo aveva messo all’inizio, dove non dava fastidio pur non assumendo la forma di un salame schiacciato. Poi, come per giustificarsi del repentino scatto, si girò verso la bella hostess e disse: “Scusi sa, ma così me lo distrugge!”.

Lei lo guardò fra lo stupito e l’aria di chi sotto sotto pensasse: “Ma guarda questo qui! Mi sembra “Furio” di Bianco, rosso e verdone”. Con un inconfondibile accento tedesco e voce decisa e canzonatoria nel contempo replicò: “Veramente l’ho solo sistemato perché non cadesse”. Ecco, l’aveva sistemato perché non cadesse! Ed in effetti non l’aveva sistemato poi così male e lui si stava maledicendo da solo per aver messo in moto il cervello solo dopo che il suo istinto da “zitello” acido l’aveva fatto scattare in piedi come una molla.

Un senso di frustrazione, lo stesso che conosceva così bene fin da piccolo, lo colse dopo essersi rimesso seduto mentre si dava dell’imbecille da solo. Che fare? Questo il dilemma che occupò il suo cervello mentre l’aereo si apprestava al decollo e lei, l’oggetto da quel momento in poi dei suoi pensieri, stava lì in piedi a mostrare a tutti i passeggeri cosa fare in caso di malaugurato incidente. Già, come poteva rimediare ad una figura da cretino assoluto agli occhi di quella che, ora, considerava la sola cosa degna d’attenzione in quell’aereo?

Bisogna pur dire che al nostro non mancava lo spirito d’iniziativa e, nonostante una timidezza che l’aveva accompagnato fin da piccolo, sapeva ben destreggiarsi fra il ribollire dei suoi sentimenti. Decise così che il solo modo per non perdere la faccia completamente e tentare l’impossibile fosse quello di fare il galante. Non appena l’aereo fu decollato e si poterono slacciare le cinture di sicurezza s’alzò, aprì lo sportello nel quale c’era l’ormai famoso giaccone e da quest’ultimo tirò fuori un porta documenti estraendone un suo biglietto da visita.

Poi prese un libro dal suo bagaglio a mano e si rimise a sedere calando il ripiano del sedile avanti a sé. Con finta nonchalance finse di leggere qualche riga, mentre in realtà pensava intensamente cosa scrivere sul retro di quel cartoncino patinato. L’esperienza non gli mancava in proposito e, vuoi per l’età non proprio più tenera, vuoi per un fondo d’animo romantico che s’annidava laggiù da qualche parte, nella sua mente, buttò giù qualche riga di scuse, con annesso invito a cena per farsi perdonare d’essere stato “scortese”.

Dopo il difficile “parto” si mise a leggere, alzando di tanto in tanto gli occhi, solo quando lei passava fra i passeggeri per portare bevande o altro. Fu una vera sofferenza trovare il coraggio per consegnarle quel biglietto all’arrivo a Berlino. Passandole davanti, proprio sul portellone d’uscita, le consegnò il biglietto sorridendole e dicendole: “Grazie per il volo, a presto!”. Lei sorrise, ringraziò a sua volta e lui uscì di fretta. Mentre andava verso il basso edificio difronte l’aereo ripassava mentalmente quel che era successo, in parte vergognandosi, in parte chiedendosi se l’avrebbe mai più rivista.

Berlino in primavera è un misto di bellezza, tempo uggioso ed una naturale voglia di aprirsi alla vita. Ci si adegua al tempo che cambia ogni due ore e s’impara dai berlinesi il modo in cui bisogna vestirsi. Pian piano si diventa bravi a passeggiare con naturalezza, le idee si rinfrescano anche loro e spesso volano via dietro al vento leggero che t’avvolge. Anche ”quella“ della bella assistente di volo s’era oramai allontanata dai suoi ricordi, dopo più di un mese.

Bisognava pur controllare di tanto in tanto il cellulare usato in Italia per essere sicuri che qualcuno non l’avesse contattato ancora su quel numero. Lo accese, aspettò che si caricassero i programmi e, quasi con distrazione, aprì quello per chattare: un suono, il segnale di un nuovo messaggio, da un numero sconosciuto. In fondo una firma: Kristina. Era un nuovo capitolo della sua vita.

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