Arte e Cultura

Suburbano, psichedelico, neuroartista: intervista a Jeremy Shaw

Un video di Shaw
Un video di Shaw

di Vita Lo Russo

È davvero un peccato che non possa farvi vedere i suoi video.

Ma uno che espone in solitaria prima al PS1 Moma di New York (2011) poi allo Schinkel Pavillon a Berlino (2012) difficilmente elargisce le password dei suoi canali video al pubblico. E non perché voglia fare il radical chic. No, proprio no.

Jeremy Shaw è un socialista vero, uno che viene dal basso. Semplicemente perché per indagare meglio il futuro dell’arte, devo essere d’accordo con lui, deve evitare la sovraesposizione da social network. Il rischio è sempre lo stesso: quando tutto diventa arte, niente più è arte. E finisce il gioco anche per noi.

Ho incontrato Shaw una settimana fa nella sua bellissima mansarda a Kreuzberg. E mentre sorseggiavamo un té mi ha rasserenato: a maggio prossimo esporrà in rassegna tutti i suoi capolavori nella galleria d’arte berlinese che lo rappresenta: la Johann Koening sulla Dessauer Strasse.

Ma ritorniamo a Jeremy. Perché lui, perché qui. Shaw è un neuroesteta. Ovvero un artista – classe 1977 originario di Vancouver, deluso di New York residente innamorato a Berlino – che tramite la videoarte produce video che parlano di cervello.

Da un doppio punto di vista: quello che succede fuori, quello che succede dentro. «I was a bad boy – sono stato un ragazzo cattivo, I took many drugs – ho preso molte droghe, I want to explore the pychedelic sciences – voglio esplorare le scienze psichedeliche». Con gli strumenti dell’arte.

Shaw è un tipo posato, dai capelli rossi e dagli occhi blu e quasi non ci si crede che è stato un ragazzo cattivo. Prima di dedicarsi alle arti visive, faceva il cantante compositore e seconda chitarra di una rock band canadese, i Circlesquare.

«Faccio parte della generazione MTV. Per quel che mi riguarda, i video erano funzionali alla musica. Poi però a un certo punto ho reso la musica funzionale ai video. Credo di avere una maggiore sensibilità visiva e in generale l’arte appaga maggiormente la mia curiosità. (E poi non ti nascondo che mi piace  molto giochicchiare al computer)».

«La musica resta il mio primo amore: vado in giro a fare il dj per Berlino, mi diverto con gli amici, compongo per i miei video». E alla domanda secca “perché i video anziché la musica” risponde: «Quando sei un artista e in particolare un artista di neuroestetica», dice Jeremy, «devi sfogliare i libri di filosofia,  biologia, fisica, per capire cosa accade nel cervello. Sia se assumi delle droghe, sia se balli, se vai in trance sciamanica. E non fa niente se poi il prodotto finale rispetto a un bel pezzo musicale è, per così dire, meno immediato, e arriva  al cuore dell’osservatore tramite vie più sofisticate».

«Ne vale la pena. Ho studiato di più. E forse ballato di meno».

LEGGI IL RESTO DELL’INTERVISTA SU “RIPRENDERE BERLINO”

Articoli Correlati

Un commento

Pulsante per tornare all'inizio