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Berlino e la Germania, quando la prostituzione è un affare miliardario

[© jpereira_net on Flickr / CC BY-ND 2.0]
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di Valerio Bassan
(@valeriobassan)

Kurfürstenstraße è una delle vie più conosciute di Berlino. Non certo per la bellezza dei suoi palazzi, o per la ricercatezza dei suoi negozi: la strada di Schöneberg, infatti, è conosciuta per ospitare la più alta concentrazione di prostitute di tutta la capitale tedesca.

Qui, a poche decine di metri l’una dall’altra, le donne vendono i propri corpi ai passanti. Le ragazze vengono soprattutto dall’Europa dell’Est, e attirano centinaia di clienti durante il giorno e la sera; a pochi passi dalle case, dalle scuole, dalla fermata della metropolitana. Un prete, recentemente, ha proposto l’apertura di un bordello pubblico per togliere le donne dalla strada.

Sono passati ormai undici anni da quando la Germania ha introdotto la riforma della prostituzione, rendendo il «mestiere più antico del mondo» un lavoro fiscalmente riconosciuto a tutti gli effetti, con tanto di regolare contratto per i lavoratori del sesso.

La legge, proposta dai Verdi nel 2002 e approvata a maggioranza dal Parlamento grazie all’appoggio della SPD, aveva la finalità di migliorare le condizioni di lavoro delle prostitute, basandosi sul principio fondante secondo cui la prostituzione non doveva essere più considerata un’attività immorale.

Da questo punto di vista, tuttavia, non ci sono stati grandi cambiamenti. Le prostitute sono ancora socialmente emarginate e molte accompagnatrici sono costrette a nascondere la loro “doppia vita”. In compenso, qualcosa di nuovo è accaduto: in pochi anni la Germania, grazie alla nuova legge, è diventata il paradiso del sesso a pagamento.

Il Paese attira oggi prostitute freelance da tutta Europa, che vengono qui per lavorare in strada oppure in una delle strutture attrezzate ad hoc (in Germania i bordelli sono più di tremila). Si stima che ci siano quasi 400mila professioniste attive sul territorio, con oltre 600mila prestazioni sessuali offerte ogni giorno.

Quello che è certo, è che il nuovo sistema è una miniera d’oro per le casse dello stato e dei vari Länder. A livello locale, le città possono imporre tasse “personalizzate”. Berlino, ad esempio, chiede un forfait di 30 euro a notte per prostituta. La più economica Bonn, 6 euro. Colonia, nel 2006, ha ricavato dal mercato del sesso quasi 900mila euro. In totale, il sistema ha un giro d’affari annuale di 15 miliardi di euro, parte dei quali versati in tasse.

Questa organizzazione attira anche diverse critiche, ultima delle quali quella di Alice Schwarzer, attivista per i diritti delle donne e direttrice della rivista Emma. Per lei, che ha dato il via ad una pubblica campagna contro la prostituzione, la Germania dovrebbe passare al modello scandinavo, dove il sesso a pagamento è permesso ma la polizia può multare chiunque venga sorpreso ad utilizzarlo.

Secondo Schwarzer, la riforma del 2002 ha contribuito ad aumentare il traffico di esseri umani e lo sfruttamento. La polizia non è d’accordo e mostra cifre rassicuranti: secondo i dati federali, nel 2011 i casi di traffico di esseri umani sono stati “solo” 636, il 30 per cento in meno rispetto al 2001. Tuttavia, aggiunge lo studio condotto dalla BKA, non è facile rintracciare molti casi singoli che potrebbero rientrare nella categoria.

Le contraddizioni non mancano, dunque, ma su un punto sono (quasi) tutti d’accordo: se la prostituzione non si può debellare, allora tanto vale cercare di guadagnarci il più possibile. La Germania, oggi, lo sta facendo.

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