Berlino, la comunità africana ricorda le vittime di Lampedusa

Domenico Paladino

Domenico Paladino
La “Porta di Lampedusa” realizzata da Domenico Paladino [pubblico dominio / Wiki]
di Emanuela Barbiroglio

Da Lampedusa a Berlino, la strada del ricordo è breve. Anche la città tedesca, infatti, ha voluto commemorare le quasi 400 vittime della strage del mare avvenuta a pochi chilometri dall’isola siciliana, lo scorso 3 ottobre.

Organizzata dal politologo Yonas Endrias, la cerimonia si è svolta nella chiesa di Wedding domenica scorsa.

Ideatore del progetto “Studio e memoria nel quartiere africano”, eritreo, Endrias è rimasto sbalordito quando la notizia del naufragio lo ha raggiunto: «Il nostro paese è molto piccolo, tutti conoscono tutti. Anche i miei amici in Eritrea conoscevano alcuni dei fuggitivi. Per molte notti non sono riuscito a dormire».

La comunità africana ha quindi voluto commemorare i 400 esuli morti fra le acque del nostro mare perché la loro morte non sia stata inutile. Perché si riuscisse a comprendere il significato della tragedia. «Quali erano le speranze di quelle persone?» è stata la domanda ricorrente durante la funzione.

«Il numero delle vittime del disastro è scioccante tanto quanto le circostanze in cui è avvenuto», ha esordito il pastore Hans Zimmermann. Nella quiete tombale, alla flebile luce di quattro grandi candele che circondavano una composizione floreale, davanti ai 60 presenti, bianchi come neri.

Solo il musicista senegalese rompe il silenzio, suonando il brano “Nkosi Sikelel ‘ iAfrika”, “Dio benedica l’Africa”. «Ogni individuo ha il diritto di voler migliorare la sua vita», esorta la canzone che potrebbe essere l’inno dell’intero continente a detta dello stesso Endrias.

Ma la polemica si fa più aspra ancora intorno al trattamento che ai corpi dei defunti è stato riservato. Quello che hanno contestato è l’anonimato delle salme, identificate solo da una serie di numeri. Cosa inconcepibile per la cultura somala e per quella eritrea, secondo le quali portare adeguatamente il lutto è fondamentale per i sopravvissuti. Il ricordo dignitoso è centrale.

Un attivista si è alzato in piedi al termine del discorso del parroco. Una donna si è rivolta verso la sala e ha chiesto, evocando la poesia Number 92 di Kidane Selam : «Dimmi, piccolo, come hai chiamato la tua cara madre? Hai amato, riso molto, volevi studiare?».

Poche ore dopo si è concluso anche lo sciopero della fame che alcuni attivisti hanno portato avanti per giorni di fronte alla Porta di Brandeburgo, in ricordo di chi ha perso la vita. Almeno fino a gennaio, dicono i partecipanti.