L’attivista che ha portato la Germania al «terzo sesso»

di Laura Lucchini

Quando l’attivista tedesca Lucie Veith scoprì, in realtà, di essere un uomo, aveva già 23 anni. Due anni prima, si era sposata con suo marito in chiesa. La scoperta diede inizio a una serie di operazioni e trattamenti dolorosi. Seguirono disagi fisici e depressioni. Eppure, è una storia a lieto fine.

Veith è ora presidentessa della Associazione tedesca degli intersessuali, e con la sua battaglia di fronte all’Onu per vedere riconosciuti i diritti di questa minoranza ha appena dato inizio a una rivoluzione giuridica e sociale in Germania, primo Paese in Europa e secondo al mondo che introdurrà il “terzo sesso”. Linkiesta ha parlato con lei.

Dal 1 novembre la Germania sarà il primo paese in Europa dove alla nascita sarà possibile registrare i neonati come “indeterminati”, cioè non appartenenti né al genere femminile né a quello maschile. I genitori potranno scegliere di non determinare il sesso del bambino nell’atto di nascita registrato all’anagrafe, se (e solo se) i medici riscontrano che non c’è una netta predominanza delle connotazioni di uno dei due generi. Da adulti gli intersessuali potranno scegliere di optare per uno dei due sessi o rimanere indeterminati. La legge riguarda solo questo gruppo di persone e non si riferisce ai transessuali, la cui posizione in Germania è già difesa da altre leggi.

Questo grande passo è risultato di una normativa approvata lo scorso mese di maggio, rimasta però lontana dal dibattito pubblico fino a quando la scorsa settimana il giursista Heribert Prantl ha pubblicato un articolo sulla Süddeutsche Zeitung in cui attirava l’attenzione sul carattere «rivoluzionario» di ciò che sta per accadere. La portata storica della nuova normativa giace in una considerazione di fondo semplice, secondo Prantl: «D’ora in avanti, la legge tedesca riconosce che non ci sono solo uomini e donne».

Con il riconoscimento di un genere «indeterminato» la Germania risponde a richiami dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) e del Tribunale Costituzionale a proteggere i diritti umani degli individui intersessuali che vengono calpestati quotidianamente in una società basata su un modello a due sessi. Lo scopo principale è dunque proteggere tutte quelle persone per cui alla nascita è difficile stabilire se si tratti di maschi o femmine. Di fatti, l’obbligo di classificarli immediatamente come tali, spesso induce i genitori a decidersi precipitatamente per un’operazione definitiva che può avere conseguenze fisiche e psicologiche nefaste per gli interessati. La nuova norma mette in discussione anche tutte le altre leggi basate su un sistema a due generi. «Nel lessico ufficiale non viene formulato in questo modo», scrive Prantl, «ma di fatto si tratta dell’introduzione di un terzo sesso».

A muovere mari e monti per raggiungere quello che lei stessa definisce «un primo passo nella direzione giusta» è stata l’attivista Lucie Veith. «La realtà biologica è provata dal punto di vista scientifico: esistono più di 4.000 varianti della differenziazione sessuale», spiega, da Amburgo, nel corso di un’intervista telefonica, «sostenere al giorno d’oggi che ci sono solo due sessi è come dire che il sole gira intorno alla terra e la terra è piatta».

twitter @NenaDarling

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2 COMMENTS

  1. Se si lascia l’indeterminazione in attesa che sia l’interesseto a scegliere a quale sesso appartiene, non si sta confermando che i sessi sono due? Solo questione di attesa per decidere quale.

    Inoltre è è vero che il “sesso percepito” ha 4000 varianti… deciderne 3 su 4000 non discrimina e non protegge tutti gli altri?

    Stiamo entrando nel regno della Confusione.

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