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TEUTONICHE SCHEGGE – A volo d’uccello
Rientrata brevemente sul patrio suolo per un assaggio d’estate, vengo assalita da torme di uccelli à la Hitchock: dai tg la lotta non è fra galli, ma fra “colombe” e “falchi” tra le fila di Berlusconi. Così per combattere l’afa padana, mi concedo un pindarico volo fra ornitologici modi di dire.
Chissà se, fra una disputa e l’altra, davvero i politici si mangiano fra loro. Del resto i tedeschi ammoniscono che “le cornacchie non si cavano gli occhi a vicenda” (“eine Krähe hackt der Anderen kein Auge aus”). Se la condanna a Berlusconi venisse poi confermata, ci sarebbe da aspettarsi un suo ultimo canto del cigno, che anche a casa Merkel verebbe tradotto letteralmente (Schwanengesang). Silvio a teutoni microfoni finirebbe, forse, per proclamarsi ambito Pechvogel (sfortunato, bersagliato). Certo per restare fra Berlusconi e pennuti, e non scadere in facili battute da fascia protetta, non si può certo negare che ami fare il galletto, che fra i teutoni se la spassa se sta solo nel cestino, anziché nel pollaio (“Hahn im Korb sein”).
Oltre a barcamenarci tra galletti e pavoni, ci attribuiscono il “far le rondini” (“Schwalbe machen”): secondo i crucchi, quando si tratta di calcio la nostra strategia prediletta è quella delle simulazioni. Altra arte di conio nostrano è l’omertà, che uccellescamente può esprimersi in una politica dello struzzo, che piace così com’è anche oltralpe (“die Vogel-Strauß Politik”). Ahimè sicuramente Berlusconi conosce i suoi polli, quando si tratta di comunicare ed arringare. Quest’abilità in terra teutone assume un che di militaresco, poiché si conosce il proprio “Pappenheimer”, un reggimento omonimo del generale Pappenheim. (“meine Pappenheimer kennen”).
In entrambe le lingue è ornitologico un sano, forse contadinesco pragmatismo: da noi è meglio un uovo oggi che una gallina domani, per i tedeschi meglio un passero in mano che un colombo sul tetto (“lieber einen Spatz in der Hand als eine Taube auf dem Dach). Analogo anche il tubare dei piccioncini, che anche in Germania sono Turteltauben.
Precursori della libera circolazione dell’era Schengen, i polli ridono e vanno a letto presto incuranti dei confini nazionali (“da lachen die Hűhner” e “mit den Hűhner schlafen gehen”), e loro malgrado le oche sono trasversalmente aralde di dabbenaggine e animali freddolosi (“eine dumme Gans sein” e “Gänsehaut haben”).
I gufi da noi non portan granchè bene, essendo specifici uccellacci del malaugurio. In Germania sono o nottambuli (Nachteulen) o persone non proprio avvenenti (“wie einen Eulen aussehen”). Se vengono portati ad Atene, i poveri animali (che qui stan per civette) indicano un’azione assolutamente superflua (“Eulen nach Athen tragen”). Le donne che fan le civette, in Germania rischierebbero di esser prese per eccentriche, perché si parla di “komischer Kauz” o anche di “komischer Vogel.
Del resto chi possiede un uccello in tedesco non rivendica appartenenza di genere, bensì è uno un po’ fuori (“einen Vogel haben”). Molti germani (che da noi son reali) si riconosceranno nella categoria del Frűhvogel, il mattiniero, del resto da noi il mattino ha l’oro in bocca, e per loro solo l’uccello mattiniero si accaparra il verme (“der Frűhvogel fängt den Wurm”). Più rari sopra le Alpi e scovabili solo da occhi di falco sono gli Spaßvögel, i burloni, e al posto di specchietti per allodole bisognerà guardarsi da un più generico “Lockvogel”.
Insomma, a voler darsi all’ornitologia, ce n’è per tutti i gusti in ambedue le lingue. Del resto, tedeschi ed italiani son tutti figli delle cicogne, salvo quando c’è di mezzo l’idraulico o l’elettricista – da noi- o il cucù in Germania, che depone le uova nei nidi altrui (“ein Kuckuckskind”).
Infine, mi piace pensare che la saggezza teutone sia valida, perché mentre mi accingo a sorbirmi un altro round di telegiornali, mi ripeto che, alle volte, anche le galline cieche trovano il grano (“auch ein blindes Huhn findet mal ein Korn”).