Berlino come San Francisco: città hippie con un lato oscuro?

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di Povero Peppe

“Ich bin ein berliner” disse JFK ormai molti anni fa. È vero, infatti, che questa città ha la magnifica caratteristica di farti sentire da subito a casa: un “berliner”, appunto. Vivendo qui, anche se per o da un periodo di tempo limitato, ci si affeziona a molte cose che in nessuna altra città si ritrovano o, quanto meno, si ritrovano con facilità.

Berlino è ancora un’isola felice, dove si sopravvive anche senza parlare il tedesco e non è poi così difficile trovare un lavoretto che ti permetta di vivere dignitosamente. Paragonabile ad una tavolozza di colori impressionista, questa città raccoglie e sintetizza mille anime differenti: etnie, lingue e culture disparate e diverse qui si incontrano e spesso, anche se non sempre, convivono arricchendosi vicendevolmente.

Con una vita notturna che nulla ha da invidiare a quella madrilena, ma con un sottofondo techno, un fermento culturale paragonabile a quello parigino e un’importanza politica che, spesso, oscura Bruxelles e Strasburgo, Berlino è unica nel suo genere. Con un piccolo sforzo e facendo i dovuti distinguo, tuttavia, potrebbe essere assimilata ad una città d’oltreoceano: San Francisco.

Non solo perché patria di ribelli ed eccentrici ma, purtroppo, anche per problematiche materializzatesi negli ultimi anni riscontrabili in entrambi questi affascinanti luoghi. Non molto tempo fa la scrittrice Rebecca Solnit scriveva, sulle pagine della London Review of Books, del preoccupante e repentino cambiamento della città più ribelle d’America.

L’esplosione economica della Silicon Valley, con le sue fiorenti industrie hight tech, l’ha resa dormitorio di coloro che lavorano nel mondo di internet: il dormitorio di quelli che l’autrice definisce “nerd”. La Solnit racconta del proliferare di Google Bus, rigorosamente di lusso e con wifi, che solcano ogni giorno le celeberrime salite e discese di quella che era la città più anticonformista d’America, trasportando schiere di giovanissimi geni dell’informatica a lavoro.

Mentre Facebook, Google e Yahoo! fanno affari d’oro, gli affitti in città arrivano alle stelle, costringendo i vecchi e “storici” abitanti a trasferirsi altrove. “Tutto questo sta cambiando lo spirito di una città un tempo era rifugio per i dissidenti, gay, pacifisti e artisti”, scrive con un velo di tristezza la scrittrice americana.

Dopo aver letto il suo articolo devo ammettere di essere stato colto da improvvisa apprensione per quella che considero, seppur vivendoci da pochissimo, la mia città: Berlino. Già precedentemente avevo sentito definire la capitale tedesca la Silicon Valley europea e, devo dire, ne ero sempre stato orgoglioso: da immigrato-causa-crisi è una sensazione piacevole quella di sentirsi parte di quella che si crede una realtà feconda di opportunità, rifugio benevolo di giovani provenienti da tutta Europa.

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© Egg-Salad

Riflettendo attentamente su quanto letto, visto e sentito in questi ultimi mesi non posso, però, non soffermarmi sulle evidenti incongruenze tra quella che credevo essere Berlino, appena giunto in città, e la Berlino reale. Ho riflettuto, quindi, su quelle che a me paiono analogie tra Berlino e San Francisco: analogie che, tuttavia, devono essere analizzate contestualmente alla crisi europea e al ruolo che la Germania ha avuto e sta avendo in questa.

Una delle similitudini che, su tutte, mi ha colpito è stata l’enorme concentrazione di startup e, ormai, ex startup che hanno fatturato nell’ultimo lustro vere e proprie fortune. Questa “fioritura” ha, ovviamente, attirato diverse migliaia di lavoratori, spesso giovani e stranieri.

Questa invasione pacifica della capitale tedesca ha avuto delle conseguenze molto pesanti sul mercato immobiliare: conseguenze che hanno favorito fenomeni che nell’immaginario collettivo appaiono molto poco tedeschi ma che, nella realtà, proliferano. Gli affitti sono aumentati considerevolmente e, spesso, i prezzi di camere ed appartamenti vengono gonfiati proprio a causa dell’enorme domanda: trovare una “umile dimora” appare, sempre più spesso, come una lotta senza esclusione di colpi tra disperati.

Assieme all’incremento degli affitti sale il numero delle truffe: fantomatici padroni di appartamenti incredibilmente economici e in zone eccezionali, momentaneamente all’estero, richiedono dopo aver stipulato un contratto via mail il versamento di ingenti somme di denaro al malcapitato, promettendo di spedire la chiave del suddetto appartamento da sogno al più presto. Inutile dire che la chiave, puntualmente, non arriva.

Quartieri come Kreuzberg e Friedrichshain, un tempo pieni di artisti e studenti, oggi sono inavvicinabili e, il più delle volte, l’enorme prezzo pagato per una camera o appartamento non vale la fatiscente, ammuffita e microscopica abitazione dove ci si trasferisce. Il mercato immobiliare è così saturo che il comune non si è fatto scrupolo alcuno ad abbattere (o spostare… anche se, in fondo, l’entità del danno non è poi così differente) metri e metri del Muro di Berlino per permettere la costruzione di appartamenti di lusso sulle rive della Sprea.

Trovare lavoro è, per il momento, ancora relativamente facile anche se, sempre più spesso, si incappa in stage mal retribuiti e con stessi orari e responsabilità di coloro i quali percepiscono buste paga con diversi zeri in più. Stage che per molti, ovviamente, non si convertono in nulla di concreto allo scadere del contratto. Berlino pare non riuscire ad assorbire dignitosamente e senza snaturarsi questa ondata di tecnologia e giovani provenienti da tutta Europa: giovani che scappano da paesi che non sono in grado di mostrare loro un futuro dignitoso.

La gestione del malcontento degli immigrati a Berlino rischia di trasformarsi in una questione politica di respiro europeo, oltre che economica e sociale. Una larga fetta dei giovani trasferitisi qui in cerca di un nuovo inizio, ritiene che la Germania sia, almeno in parte, responsabile dell’attuale crisi europea. Senza adeguate politiche di inserimento e integrazione, presto il Governo tedesco potrebbe trovarsi a dover fare i conti con una bomba ad orologeria piazzata esattamente tra le pareti di casa.

Forse la coscienza sociale dei tedeschi in generale e dei berlinesi in particolare, i quali hanno vissuto direttamente le atrocità di due guerre mondiali inframmezzate da una feroce dittatura, la follia di una divisione forzata e (almeno la parte est) un controllo della popolazione capillare ed insano, porterà ad una reazione. Non si giungerà, come nella città di Milk e della Baia cantata dai Creedence, a mettere in pericolo il patrimonio di anni di avanguardie e impegno sociale. Non si assisterà passivamente all’aumento incontrollato dei prezzi degli immobili, alla cacciata di artisti, scrittori, cineasti ed eccentrici di ogni tipo soffocando l’unicità di questa splendida città.

Non passerà inosservato lo sfruttamento di menti provenienti da tutta Europa, troppo preziose per essere sacrificate a grigi e monotoni lavori volti al solo incremento di un guadagno aziendale del quale non assaporeranno mai i benefici. Non è affatto una follia pensare che Berlino, oltre a pretendere l’applicazione delle tanto chiacchierate misure di austerità, abbia l’obbligo morale di aiutare indirettamente tutti i giovani europei in difficoltà e direttamente quelli che l’hanno eletta patria di adozione.

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