Teho Teardo e Blixa Bargeld: la musica d’autore viaggia tra Roma e Berlino
di Emanuele Serra Sartori
Dalla ricerca dell’esclusivo duo composto da Teho Teardo e Blixa Bargeld, esce oggi sul mercato discografico italiano “Still Smiling”, un album raffinato e dal gusto sperimentale. Ad introdurre due musicisti di questo calibro bastano davvero poche parole: il primo è compositore poliedrico ed autore delle colonne sonore del migliore cinema italiano odierno, da Gabriele Salvatores a Paolo Sorrentino, il secondo è leader della rinomata band berlinese Einstürzende Neubauten, nonché ex braccio destro di Nick Cave.
A pochi giorni di distanza dalla pubblicazione del loro lavoro e dall’inizio del tour italiano, abbiamo avuto l’immenso piacere di essere ricevuti nell’abitazione di Blixa Bargeld per una lunga e dettagliata intervista.
Vi siete conosciuti nel 2009 lavorando su uno spettacolo teatrale chiamato “Ingiuria” e nel 2010 avete composto insieme la colonna sonora di “Una vita tranquilla”, un film di Claudio Cupellini con Toni Servillo. Come mai avete deciso di scrivere un intero album assieme?
B.B.: Dopo le due collaborazioni Teho ha prodotto molti lavori e sviluppato idee che mi ha inviato. Abbiamo deciso di portarle avanti assieme.
T.T.: Alcune di queste erano ancora molto minime e basilari. Ci siamo incontrati ed abbiamo iniziato a lavorarci su a partire dal 2011.
Avete seguito un preciso schema compositivo nella creazione dei pezzi?
B.B.: Il nostro lavoro artistico si può riassumere così: Theo mi ha proposto dei problemi che ho cercato di risolvere. Di fronte ai suoi inputs mi sono mi sono chiesto come poter dare il mio senso ed il mio contributo. Lo scorso anno la mia famiglia ed io abbiamo affittato una casa in Sardegna per le vacanze. Anche Teho era lì. Mentre tutti erano al mare ho iniziato a scrivere i testi. C’erano 36° ed ho ascoltato i pezzi all’infinito prima di poter capire come intervenire. Il processo di creazione definitivo è avvenuto successivamente in studio.
T.T.: Penso che in quei giorni sia successo qualcosa di particolare perché Blixa ha trovato l’ispirazione per il nostro singolo “Mi scusi” che sta avendo un impatto particolarissimo. Ero molto curioso di vedere la reazione del pubblico italiano. Il mio sito internet è già pieno di messaggi di persone che si dicono ironicamente commosse da questo pezzo. Sono entrato così tanto in questa canzone che in qualche modo ho perso ogni prospettiva.
“Mi scusi” parla dei limiti del linguaggio e della comunicazione, in particolare in un’altra lingua. Come mai due artisti così espressivi decidono di esplorare questa tematica?
B.B.: Ho già scritto altre canzoni in lingue che non parlo realmente. Qualche volta addirittura in arabo o giapponese e mi ha sempre affascinato questa babilonia comunicativa. A volte è perché una nuova lingua suggerisce un gusto nuovo, a volte può rappresentare bene un colore. È sicuramente qualcosa con cui mi piace giocare. Quando ho iniziato a lavorare su “Mi scusi” sapevo di volerla scrivere in italiano, inglese e tedesco. Ho avuto come supporto un insegnante di dizione e l’aiuto di Lorenzo Boccafogli, un esperto in germanistica che ha lavorato sulle metafore che volevo creare per esprimere quanto sia terribile il mio italiano e quanto questo mi dispiaccia. Inizialmente abbiamo provato il testo su tre canzoni diverse. Volevo inserire alcuni riferimenti a Giacomo Leopardi, sono addirittura arrivato in studio a Roma con un suo libro in tasca. Dopo aver scelto la musica però ho deciso di parlare delle lingue come un’estensione del corpo. Quando si parla una lingua diversa dalla propria si cambia. È il nostro stesso corpo che cambia.
Il testo della canzone dice:-“Wer bin ich in einer anderen Sprache? Kommen die Metaphern mit mir mit?”. Il modo in cui veniamo percepiti da qualcun altro nel momento in cui non riusciamo ad esprimerci completamente, finisce forse per essere parte di ciò che siamo?
B.B.: Questa è una domanda molto interessante che riguarda l’ambito delle teorie di comunicazione, ma purtroppo non può esserci una risposta. Le spiego perché. Ricordo di aver avuto una discussione simile con il mio insegnante di arte a scuola, mentre cercava di spiegarmi l’insiemistica con questo esempio: gli strumenti comunicativi propri di un infante rappresentano un sottoinsieme più piccolo dell’insieme degli strumenti comunicativi propri di un professore. E se invece ci fosse solo una piccola intersezione tra questi due insiemi? Se l’infante avesse un sistema comunicativo molto più ampio ma totalmente differente e non rapportabile a quello del professore? Non avremmo alcun metodo per provarlo, né potremmo mettere le due cose in relazione! Cercare di rispondere alla domanda porterebbe nella stessa direzione. Quali cose sai? Quali cose so? Qual è l’insieme delle cose che sappiamo entrambi esattamente nella stessa maniera? Ma specialmente quali metodi avremmo per provare cosa è stato comunicato? Nessuno. Per questo sono molto contento di avere un veicolo come la musica, in grado di comunicare su un livello totalmente diverso da quello del linguaggio. Nessuno verrà mai a chiederti cosa volevi intendere con quelle note. Neanche il migliore dei musicologi potrebbe mai dire in maniera esatta ed universale cosa viene detto con delle note musicali. Ciononostante ognuno ne trae qualcosa.
Nel disco avete collaborato con il Balanescu Quartet. Gli archi sono una grande componente delle sonorità di quest’album. È una scelta nata sin dall’inizio o avvenuta in corso d’opera?
T.T.: Assolutamente sin dall’inizio. Erano già presenti nelle bozze iniziali. Mi piace scrivere brani per chitarra da poi suonare con un violoncello o con la viola. Sebbene sia la stessa composizione, una volta suonata con il violoncello cambia totalmente. Si perdono gli elementi più percussivi e gli attacchi. Il risultato finale è sorprendente. Devo potermi sorprendere mentre scrivo.
B.B.: Anch’io sono molto legato agli strumenti ad arco. Quando suonavo con Nick Cave and the Bad Seeds ho sempre immaginato che la mia chitarra fosse un violoncello. Negli ultimi lavori degli Einstürzende Neubauten mi sono sempre dedicato al ruolo degli archi. Ciò che è nuovo per me è che questo disco quasi non abbia percussioni, che in qualche modo tenda più ad avvicinarsi alla musica da camera.
L’inizio della canzone Axolotl è suonato da un contrabasso, vero? Come avete creato da uno strumento classico quel suono così brutale?
T.T.: Non è un contrabasso. Sono due violoncelli suonati assieme, quel suono è l’archetto che percuote la corda.
Axolotl è una canzone meravigliosa. È solo la descrizione di uno strano animale o porta con sé una metafora sull’incompletezza?
B.B.: Ho preso spunto da un saggio brillante del filosofo italiano Giorgio Agamben, Professore all’Università di Venezia. L’axolotl è un anfibio presente nel Golfo del Messico che vive e si riproduce in uno stadio evolutivo incompleto non raggiungendo mai la maturità. Potrebbe diventare una vera e propria lucertola ma sceglie di non portare a termine il suo processo di crescita. Ovviamente c’è un parallelismo con l’essere umano ma anche una riflessione sulla totipotenza, ovvero sulla possibilità di diventare qualsiasi cosa. Mi piace pensare che l’intro della canzone rappresenti l’evoluzione microbiologica di questo animale, per poi trasformarsi in una sorta di pezzo da cabaret anni ’20 che include il saggio del filosofo. È intrattenimento per gente sofisticata…
Per registrare l’album avete viaggiato molto tra Roma e Berlino. Volete raccontarci un episodio o un’impressione che collega l’album e queste due città?
B.B.: Ho scritto la seconda parte del disco al quartiere Esquilino, sul tetto di un hotel dietro la Stazione Termini. Un hotel moderno che però è stato costruito su delle fondamenta molto antiche, ancora oggi preservate e visibili. Dal tetto si vede il mercato cinese ed una parte di “Come up and see me” parla dell’enorme foresta di antenne televisive presente sui tetti di Roma. Questo mi ha fatto subito pensare al potere mediatico ed a tal proposito ho dovuto inserire un riferimento al famoso titolo dell’Economist che ritrae Silvio Berlusconi come “L’uomo che ha fottuto un intero paese”. Però nello stesso testo cito anche Mae West.
T.T.: Per quanto riguarda Berlino invece mi rimarrà sempre il ricordo delle passeggiate con Blixa, che non solo conosce perfettamente quello che è la città oggi, ma ha una mappa mentale di ciò che Berlino è stata in passato. Da ogni piccolo dettaglio, dalla decorazione di un edificio, dall’urbanistica fino agli eventi storici Blixa è in grado di raccontare una città che oggi è quasi invisibile.
B.B.: Vedi ad esempio quell’edificio residenziale di lusso fuori dalla finestra? Quello negli anni ‘20 era il famoso Mulackritze, un bar a due piani dove avresti potuto incontrare Bertold Brecht. Oggi è stato trasportato in un museo. Questo allora era il quartiere a luci rosse. A mia madre, che è un’anziana berlinese, era vietato andarci e tutt’ora lo considera un luogo vietato, ma oggi questa parte di città è come Soho. È l’area più costosa del centro, non è rimasto niente dell’inzio inizio del ventesimo secolo, né di quello che vi era ancora prima, quando non era neanche periferia della città. Oggi è pateticamente gentrificata e piena di turisti che fotografano casa mia solo perché ha una facciata moderna.
Ultima domanda: state pianificando anche un tour in Germania?
B.B.: Si, per ottobre o novembre, quando piove ed il cielo è grigio. Il clima ideale per essere in tour in Germania. Se non ricordo male nel Moderno Prometeo di Mary Shelley anche Frankenstein viene assemblato nel mese di novembre.
http://www.distopic.it/teho-teardo-intervista2015/