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Desertfest a Berlino, tre giorni nel segno dello stoner rock

  mysleepingkarma

di Sonia Manduzio*

Vibrazioni gravi e psichedeliche, chitarre pesanti, voci intense: questi i termini che probabilmente riescono a riassumere al meglio i tre giorni di Desertfest, manifestazione giovane dedicata agli amanti dello stoner rock, dell’heavy psych e del doom. Giovedì 25, venerdì 26 e sabato 27 aprile si sono avvicendate sui due palchi della venue decine di band di talento, provenienti da tutto il mondo.

In un’alternanza di generi musicali fortemente contaminati dal gusto e dal background di ogni musicista, ci troviamo di fronte a tre giorni di hard/stoner rock di vecchia e nuova scuola.

Il primo giorno della manifestazione ha visto le splendide prove della band berlinese Samsara Blues Experiment che ha spaccato in due i cervelli dei presenti con riff potenti e psichedelici, e dei polacchi Satellite Beaver, che hanno letteralmente aperto le danze sul foyer stage.

Padroni indiscussi della prima giornata sono stati però i Pentagram, formazione storica statunitense che ha fatto emozionare tutti, anche i membri dei Kadavar (che si sono barcamenati tra la versione inglese e quella tedesca del festival, suonando venerdì a Londra e sabato a Berlino), accanto alla sottoscritta tra la folla.

Menzione d’onore per i DYSE, duo tedesco composto da An3 and Jari che sperimenta sonorità punk mescolate alle distorsioni più estreme. Un po’ noiosi gli In-Graved di Victor Griffin, che per quanto sia un ottimo musicista e una leggenda del rock non ha convinto troppo.

All’entrata del festival tra i vari stand ecco spuntare l’italian corner: la Go Down Records!, una storica etichetta italiana indipendente caposaldo dell’ambiente alternativo “serio”. Da dieci anni (sì, tanti auguri Go Down!) stampa vinili su vinili di alcune tra le migliori band in circolazione tra cui Vibravoid, Ojm, Karma to Burn e Morlocks: gente di un certo tipo che concretizza musica di un certo livello.

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Il secondo giorno della manifestazione la faccenda si complica un po’: gli orari cominciano ad essere sballati e la tabella di marcia si confonde. I concerti iniziano con notevole ritardo e tutti sono impazienti. Le chitarre aperte degli americani Lecherous Gaze riportano il morale in alto, con sonorità punk e hard rock (il chitarrista si muove tra gli AC/DC e il metal) che riescono a portare un po’ di luce in una giornata piena di fumo e potenza psichedelica.

Dopo alcuni cambi di programma gli Oddjobmen (tedeschi anche loro) fanno un’ottima impressione al pubblico, che aspetta e freme per ascoltare gli svedesi Blue Pills. L’esibizione di questi ultimi convince in potenza ed eleganza, con la voce di Elin Larsson padrona del palcoscenico.

È stato un po’ triste constatare che alcuni problemi abbiano impedito lo svolgimento delle attività paramusicali (action painting che nessuno ha notato), ma la giornata è riuscita ad andare avanti più o meno senza intoppi, e l’intensità delle ultime band Danava, Naam, Cough e Belzebong – in ordine sparso – ha contribuito ad appesantire il concetto puro e semplice di “stoner”. Vincitori della giornata gli americani Unida che hanno fatto emozionare (e perché no, anche un po’ rimbambire) tutti i presenti.

Dopo una doppietta del genere arriva il sabato: l’ultimo giorno di festival, quello in cui sai già chi incontrerai e in cui mostri e dimostri la confidenza con la struttura e l’organizzazione. Prima di tutto, cheapeau agli organizzatori che, dopo un venerdì un po’ claudicante, ripartono alla grande e gli ingranaggi ricominciano a girare.

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Una considerazione a caldo è che le band scelte per aprire le giornate sono state strepitose. I greci 1000 mods, i primi a esibirsi sabato 27 aprile non spezzano questa catena e danno il meglio di sé in uno spettacolo dal calore mediterraneo. A seguire gli inglesi Alunah, che aprono le porte di una strana Narnia oscura con i suoni pesanti delle chitarre e la voce di Soph Day, frontwoman e dark lady.

La leggenda Fatso Jetson si è esibita infiammando la sala con un misto di garage, blues e desert rock. La voce di Mario Lalli (il padrino del deserto che continua il set con i suoi amici Yawning Man) emoziona, nel toni caldi e graffianti della raucedine degna dei padri fondatori del blues. I vincitori assoluti del terzo giorno sono i tedeschissimi My sleeping Karma, che hanno fatto rigirare le ghiandole pineali di tutti i presenti con un sound estremamente ipnotico in un tripudio di psichedelia.

I Kadavar, reduci dal successo del giorno precedente a Londra, si esibiscono in uno show potente e vivo: il batterista controlla il suo strumento dall’alto dei suoi due metri ( o giù di lì) con una bestialità e un eleganza che fanno di lui la perfetta incarnazione di un dio greco – forse Poseidone, forse – al centro della scena. I movimenti ritmicamente perfetti, potenti e serrati lo rendono il vero protagonista del concerto. Gli Orchid chiudono la serata, dopo la dipartita dei Witchcraft, che sono stati sostituiti dai Troubled Horse, band che ospita alcuni dei membri della formazione svedese che ha cancellato l’intero tour.

Si spengono le luci, comincia il DJ set, ma nessuno potrà dimenticare la potenza e la violenza psicologica di queste giornate piene di musica e gente proveniente da mezza Europa. Ci vediamo l’anno prossimo, amici del deserto.

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* Sonia Manduzio ha deciso, nel mezzo del cammin della sua vita – o poco prima, dantescamente parlando – di lasciare la sua Terra e tentare la ricerca della felicità in giro per il mondo. E questa ricerca prevede tanta musica, tante parole and so on. 

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