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La storia del Partizan Minsk: un “altro” calcio è possibile?

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di Giacomo Falcon

C’era una volta un ragazzo di nome Vladimir che, per sbarcare il lunario, contrabbandava cassette di musica occidentale in Unione Sovietica. Un giorno Vladimir si stufò di quest’occupazione poco remunerativa e si arruolò in marina. Dopo aver prestato servizio per sei anni, investì i suoi guadagni nell’industria tessile riuscendo a fare buoni affari. All’inizio degli anni ’90 accumulò grandi ricchezze, approfittando delle privatizzazioni che seguirono la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Vladimir era adesso multimilionario, con un patrimonio che si aggirava intorno ai 400 milioni di euro. Dato che era anche un grande appassionato di sport, decise di acquistare tre squadre di calcio e una di basket. Fine della prima parte.

Nell’Europa dell’Est si stava diffondendo una malattia che istupidiva le persone fino a renderle simili a bestie: il razzismo. Questa piaga si ricollegava a istanze di estrema destra che, soprattutto tra i giovani, avevano avuto un grande seguito nell’ultimo ventennio. Vi erano però dei ragazzi che non la pensavano così e, perciò, fondarono un collettivo antifascista. Erano i tifosi dell’MTZ-RIPO, una delle squadre di Vladimir. Egli era sempre stato un uomo particolarmente bizzoso e lunatico. Un giorno si convinse che quel nome insulso, che sembrava uscito direttamente da un film di fantascienza, non gli piaceva più. E così l’MTZ-RIPO venne ribattezzato Partizan Minsk, con grande dispiacere dei tifosi. Un altro giorno pensò che era stanco di avere tre squadre di calcio e decise di abbandonarne una al suo destino. La scelta ricadde naturalmente su quella che gli stava dando minori soddisfazioni: proprio il Partizan Minsk. Fine della seconda parte.

Senza il fondamentale contributo economico del ricco Vladimir, la squadra naufragò nei debiti. Nessun imprenditore della zona voleva investire nella società, e così il Partizan Minsk era sull’orlo del baratro. I tifosi però non si diedero per vinti e, grazie all’aiuto di tifoserie tedesche politicamente affini, organizzarono una serie di collette in alcuni stadi della Germania. Con i soldi raccolti fu possibile iscrivere il Partizan Minsk alla quarta divisione bielorussa. Un anno dopo la squadra venne a ringraziare i propri benefattori con una tournèe di cinque partite in Germania. E vissero tutti felici e contenti.

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È una gelida serata di fine marzo a Babelsberg e le abbondanti nevicate hanno reso impraticabile il terreno di gioco del Karl-Liebknecht-Stadion. L’attenzione di tutti è perciò concentrata sul campo ausiliario, dove il Partizan Minsk affronta l’SV Babelsberg 03 per l’ultima data del “Partizan Minsk on tour”. Il clima rigido sembra essere fatto apposta per mettere a proprio agio gli ospiti e scoraggiare tutti coloro che non siano davvero determinati a partecipare a questa festa di sport. Tuttavia l’ambiente è caldo, molto caldo.

La piccola tribuna dell’impianto è nettamente suddivisa in due settori: da una parte i supporters di casa e dall’altra quelli della squadra bielorussa, coadiuvati per l’occasione da alcuni esponenti delle tifoserie di St. Pauli, Tennis Borussia Berlin, Roter Stern Berlin Nordost e Alemannia Aachen. E sono proprio gli ospiti a suscitare i primi applausi, quando intonano una serie di cori nella loro lingua madre. I tifosi del Babelsberg non vogliono essere da meno: sguainano i loro bandieroni, espongono striscioni contro fascismo, razzismo e omofobia, e rispondono alle canzoni provenienti dal settore bielorusso.

Nel frattempo l’area antistante al terreno di gioco si sta popolando: non c’è il pubblico delle grandi occasioni, ma si possono ugualmente contare più di 300 spettatori. La gente prende d’assalto gli stand posti all’ingresso, dando vita a un’atmosfera da mercatino natalizio più che da partita di calcio. Bratwurst, birra, Glühwein e Lumumba (un letale mix di cioccolata calda e rum) vanno a ruba, come del resto i vari gadgets con lo stemma del Partizan Minsk. L’incontro non è ancora iniziato e già sembra che tutti gli ingredienti della serata siano pronti: il calcio, oggi, è qualcosa di superfluo.

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I giocatori, però, non sono dello stesso avviso e così, attorno alle 19, la partita ha inizio. Bastano comunque pochi minuti per accorgersi che la vera attrazione di questo quadro non è la tela dipinta ma la cornice. Gli ultras del Partizan illuminano la notte di Babelsberg accendendo una ventina di fumogeni rossi (come il colore sociale della squadra) e l’attenzione del pubblico è subito calamitata da quanto avviene sulle tribune.

Durante l’intervallo gli spettatori si rifocillano e si riscaldano agli stand, elargendo laute mance a favore del Partizan Minsk, mentre i tifosi scatenano una battaglia di palle di neve alla luce dei bengala. Un affrettato armistizio introduce lo show dei sostenitori del Babelsberg che, ad inizio ripresa, trasformano il loro settore in un girone d’inferno dantesco: fumogeni, petardi e cori urlati a squarciagola mettono in mostra il lato più pittoresco e gradevole dell’universo ultras. Soltanto i giocatori non sembrano coinvolti nell’atmosfera amichevole della serata: quelli del Babelsberg stanno strapazzando gli ospiti con un passivo molto pesante e questi ultimi sfogano la loro frustrazione con una serie di entrate ai limiti del regolamento. Il già relativo interesse suscitato dalla sfida scema ulteriormente nella seconda frazione di gioco, che termina sul risultato di 8 a 0.

Ma nessuno protesta, nessuno si lamenta, i giocatori diventano protagonisti solo per le foto di rito dell’evento, poi la platea è di nuovo tutta per i tifosi che ricominciano a prendersi a pallate di neve. Passione travolgente, libertà d’espressione, divertimento, solidarietà, sì, a queste condizioni un altro calcio è possibile.

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