PANEM ET CIRCENSES – La cuoca rossa
«Oggi abbiamo messo in forno più di venti chili di “tavolette”, come tutti chiamano i biscotti popolari a base di crusca e farina di patate. Kurt sostiene che sono disgustosi, Ewa che in qualche modo riempiono la pancia e tolgono la fame. Hans invece, con i suoi paradossi, considera ingiusto destinare questi “biscotti” agli operai. Sono diseducativi, Hannah! Come puoi pretendere che qualcuno si batta per questi biscotti. Fai conoscere ai proletari i tuoi piatti, non a caso ti chiamano la “cuoca rossa”, e vedrai come diventeranno popolari le idee per una nuova giustizia sociale!»
Hans sarà anche paradossale con la sua tesi che la rivoluzione sia “das wichtigste menschliche Ereignis, das besteht” [l’evento più umano che esiste] e quindi non possa misconoscere “l’umanità delle piccole cose e dei piaceri innocenti”, eppure ha ragione da vendere, non fosse che troppo poco avrebbe da ricavarci in una Germania dove l’economia è talmente al collasso che i bambini giocano a costruire castelli di marchi con pacchi di banconote milionarie che valgono meno della carta straccia, mentre nei salotti buoni la “borghesia da operetta” spiana la strada all’avanzata furiosa del nazionalsocialismo.
Sono molte le pagine intense di cui si compone la storia di Hannah R., la “cuoca rossa” del Bauhaus di Weimar.
Alta cucina e rivoluzione
Tra una lezione di Paul Klee e un’azione di guerrilla Hannah prepara piatti di alta cucina nel ristorante che assieme ad altri compagni (anche di studi) gestisce per pagare i corsi accademici e gli altoparlanti per incitare gli operai alla rivolta; le materie prime sono di approvvigionamento variegato così come le armi: le prime sono frutto di baratto, offerte, caccia e pesca diretta; le seconde si prendono con la forza là dove si trovano, con assalti alle caserme, incursioni notturne nei circoli della caccia, blitz nelle gendarmerie.
Di giorno studentessa alla corte di Gropius, di notte spartachista in prima linea; in mezzo, di sera, cuoca e che cuoca, da quel che ne dicono gli amici-compagni e dalle ricette (teniamo conto che siamo nella Germania degli anni Venti, per cui, per ovvie ragioni pratiche, non esiste quasi olio ma solo quantità importanti di burro, strutto, lardo e panna; una smorfia per l’onnipresenza del prezzemolo invece è lecita) che scandiscono l’emozionante e forte resoconto di quei giorni di profonda agitazione e rabbia che si trasformano violentemente in angoscia e terrore con l’ascesa del nazionalsocialismo.
“La cuoca rossa” e il Bauhaus
“La cuoca rossa. Storia di una cellula spartachista al Bauhaus di Weimar. Con un ricettario di cucina tedesca” (2003, edizione Derive e Approdi, con una bella introduzione di Luigi Veronelli) è un libro strano e dico “strano” non perché non sappia definirlo più precisamente, dico “strano” perché è strano: il singolare mix di ardore rivoluzionario che punteggia le pagine dell’azione; passione artistica che emerge nelle riflessioni dedicate al mondo che ruota attorno al Bauhaus; profondità filosofica che caratterizza i pensieri di Hannah e dei suoi compagni, è permeato di un’emotività cupa, scossa ed inquieta alla quale fa da contrappunto una lineare “didattica” (se così si può dire) culinaria che presuppone grande conoscenza delle materie prime, delle preparazioni e di una grammatica del gusto, possibili solo dove si trovi una grande passione della quale non si percepisce alcuna traccia nella descrizione delle ricette.
Il ritmo che ne deriva è un ritmo sincopato senza soluzione di continuità; un libro che arriva ad un culmine emotivo altissimo ad ogni pagina che come un’onda cresce fino ad un apice oltre il quale il moto impetuoso, rivoluzionario o spirituale, velocemente si esaurisce nella descrizione di un antipasto, un piatto principale, un dessert, per ricominciare al brano successivo.
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In questo flusso continuo di emozioni e sapori Berlino è sempre presente, ora come immagine di quella “borghesia da operetta” che Hannah e i suoi si affannano a combattere, ora come palcoscenico d’elezione per l’incontro con alcune delle personalità più importanti della cultura mitteleuropea del tempo, da Arthur Schnitzler a Gerhart Hauptmann, da Max Weber a Sigmund Freud; Il Tiergarten e Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg e Unter den Linden in fiore, Rainer Maria Rilke e le poltrone damascate dell’Hotel Adlon all’angolo della Pariser Platz.
A Berlino la cellula spartachista del Bauhaus si recava spesso: che fosse una serata Dada o un incontro clandestino della Lega, una giornata di resistenza contro i Freikorps paramilitari o una notte di festa, Berlino era lì, dove tutto accadeva, dove molto accadde, dove ancora oggi tanto accade.
«Poi mi prese una mano e disse, seguimi, stasera diserteremo tutte le riunioni perché voglio portarti a ballare. Gli sorrisi con tenerezza, che altro può aspettarsi una ragazza da un ragazzo una sera a Berlino?»
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