Fuori città

Tra italiano e tedesco, un excursus linguistico “papale”

di Miriam Franchina

Da quando Ratzinger ha lasciato il soglio di San Pietro, mi chiedo se affiancheremo al comune ad ogni morte di papa, anche un più innovativo ad ogni abdicazione di papa. Questa variante i conterranei di Benedetto XVI non possono giocarsela, visto che per loro ciò che avviene di rado è alle Jubeljahre“ (“ad ogni Giubileo“) e, almeno per ora, non si ha notizia di una licenza concessa a questa ricorrenza.

Certo che, detto “papale papale” (tocca tradurre “klipp und klar“), Benedetto XVI alla Chiesa ha lasciato una bella patata bollente. E se non si avvera il detto che “da papa si torna vescovo“ (o, nella versione in tempi di crisi economica, “parroco“), non si tratta nemmeno di essere “päpstlicher als der Papst (“più papa del papa stesso”), ovvero di intestardirsi su minuzie inutili. È proprio qualcosa di sostanziale, perché un papa muore (o lascia), ma la “papitudine“ resta, così ci si è arrabattati con un inedito “papa emerito“, che non è proprio un ex.

Toccherà così al conclave nominare il prossimo erede di San Pietro, e già impazza il toto-papabili. Che, almeno in italiano, è una parola che denota chiunque sia “in der engeren Wahl“, potenzialmente da scegliere, anche per sogli meno rinomati. Tra le scommesse più in voga, la nazionalità del neo-eletto, con in sottofondo il neo-tormentone “Papa nero”. Vallo a dire ai tedeschi che, in italiano, un “papa straniero“ potrebbe anche non essere Sua Santità, ma soltanto un capo estraneo alla situazione, un podestà.

papi
“La differenza tra un tedesco e un polacco? Un tedesco lavora fino alla pensione, un polacco fino alla morte”

Certo in tempi di accuse di ingerenze esterne al governo italico, il tema è un campo minato, e ci si limiterà a notare che, in una lingua più luterana, il papa si è preso meno spazio anche nei modi di dire. Ma è sempre bene stare accorti, perché a Berlino di vendette papali ne sanno qualcosa: die Rache des Papstes è l’enorme croce che i raggi diretti del sole (quando c’è) creano sulla cupola della Torre della Televisione, emblema comunista per eccellenza. Basterà ricordare ai germanofoni che, visitando la nostra capitale, sarebbe davvero un peccato (a proposito di santità) “andare a Roma e non vedere il papa“, con buona pace del mancato contraltare (e si resta in curia) perché non mi risulta un “andare a Wittenberg e non veder Lutero.

I fasti barocchi del Vaticano, così tanto criticati dai sobri Riformati, tornano nella curiosa espressione da boxt der Papst im Unterhemd” (“lì il papa boxa in canottiera”) che, a detta della mia unica fonte, indica una festa davvero “geil”, dove val la pena di andare perché c’è da divertirsi. Anche in versione boxeur, comunque, il Sommo Pontefice (come il suo rivale storico) vestirebbe Prada.

E la nota marca può mettersi il cuore in pace, perché morto un papa, se ne fa un altro (e il dizionario suggerisce un mesto “niemand ist unersetzlich”). E c’è da scommetterci, chiunque sia il nuovo capo della Chiesa, continuerà a “stare da papa”. Chi vive fra agi e senza grattacapi economici, in tedesco “lebt wie Gott in Frankreich” (“vive come Dio in Francia”). L’etimologia è incerta, ma pare si debba alla Rivoluzione Francese, che in nome della Ragione lasciò Dio sfaccendato.

E, se perfino l’unico superiore del Papa, in tempi pre-crisi, è rimasto senza lavoro, si potrà forse concedere che anche Ratzinger si ritiri dall’incarico. Con una postilla, sempre di tono lavorativo, di conio polacco, a metà fra rivalsa e amarezza, perché la differenza tra un tedesco e un polacco? un tedesco lavora fino alla pensione, un polacco fino alla morte.

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