L’estraneo di Tommaso Giagni in trasferta a Berlino
di Oriana Poeta
Berlino, la nostra nuova capitale, sembra differenziarsi da tutte le altre Hauptstädte da un mix di piacevoli e magici fattori. La semplice struttura urbana con la mancanza di un vero centro e di una vera periferia la rende già di per sé unica e speciale. Si, è vero che c’è un Ring oltre al quale si estende una zona B, ma non è quella, similmente alla più distante zona C, ad essere la zona peggiore o malfamata della città. Non credo esisti una parte peggiore, soltanto quartieri diversi, modi di vivere differenti che permettono a tutti di trovare un proprio spazio, un ambiente in cui identificarsi.
Roma, nostra vecchia e autentica capitale, si presenta in un modo completamente differente: attraversata quasi da un muro che la divide nella “Roma delle Rovine” e la “Roma di Quaresima”. A spostarsi in questa città, in questi due mondi completamente differenti è L’estraneo, personaggio dell’omonimo libro di Tommaso Giagni (Roma, 1985), edito dall’Einaudi.
Incontriamo il giovane scrittore per fargli qualche domanda, per rapire qualche sua impressione berlinese in attesa della presentazione del suo romanzo, presso la Mondolibro in Torstraße il 26 febbraio alle ore 20. L’estraneo, mai titolo fu più appropriato, è un personaggio che non sembra ritrovarsi, adattarsi, né nella Roma periferica (“Roma di Quaresima”), né nella Roma bene (“Roma delle rovine”).
“É un figlio di entrambe e di nessuna – il che è esattamente lo stesso”. Le due Rome sono in realtà solo simboli, luoghi differenti che si possono ritrovare in ogni angolo del mondo. Il personaggio principale, inizialmente, appare al lettore proprio estraneo per poi sentirlo, pian piano, irrimediabilmente vicino. Quasi costretto ad identificarsi. Crede sia anche questa la forza del suo romanzo?
Si, mi ritrovo perfettamente. Non si tratta di realtà fisiche, ma interiori. A Roma non c’è una separazione netta fra il dentro e il fuori. Per esempio si può trovare il “centro” nell’estrema periferia, e viceversa una “periferia” nel cuore della città. O anche, ci sono quartieri abbastanza misti da rendere difficile collocarli qua o là. La divisione così chiara è un espediente narrativo per rappresentare due categorie interiori, spirituali, di marginalità e centralità.
Allora esiste un posto che sia una via di mezzo tra la Roma di Quaresima e quella delle Rovine?
Si, certamente c’è. Ce ne sono diversi. Roma, come tutte le grandi città, è soggetta a continui cambiamenti, trasformazioni. Gentrification, filtering-down, filtering-up sono fenomeni di casa. La mia scelta di porre un “muro” è stata guidata non dall’intento di restituire una realtà vera, ma avere un’ambientazione grigia tra due condizioni nette e solide.
Ad accompagnare il personaggio principale in questa trasferta incontriamo Alba, Marianna, Claudio, il gruppetto della palestra e Andrea. Quest’ultimo personaggio, a mio parere essenziale, risulta tanto distante, quanto vicino all’Estraneo stesso. Provenienti da due mondi diversi, entrambi incapaci di adattarsi, si sono isolati nella speranza di realizzare un sogno. Una Ferrari, l’iscrizione all’università in storia dell’arte. Come ha ideato il personaggio di Andrea?
Andrea è, in effetti, il personaggio più finzionale, costruito con tanti pezzi. Mi piaceva l’idea di un personaggio così contraddittorio da essere tanto lontano e tanto vicino al protagonista, con gli stessi problemi: non ha una vera famiglia, si trova a rifiutare il Quartiere (al quale, però, egli appartiene) rivelandosi comunque un marginale. É un romanzo giocato tutto sulla simmetria: come Andrea ritroviamo Claudio, anche lui emarginato. Ed ancora Alba, la ragazza di periferia che si vuole imborghesire, in contrapposizione a Marianna, perfettamente borghese, che per capriccio lascia la sua parte di città. Tanti specchi in cui il protagonista può confrontarsi in quella Roma perfettamente divisa culturalmente, linguisticamente.
Il romanzo si presenta diviso anche materialmente in quattro parti, ognuna anticipata da un’epigrafe. Walter Siti, Paolo Volponi, Fernando Pessoa sono gli autori citati. L’ultima parte, secondo me la più importante, è anticipata da una frase tratta da Petrolio di Pier Paolo Pasolini. A quale di questi autori si sente più vicino, maggiormente influenzato?
Tutti e quattro sono importanti e con le epigrafi non ho fatto altro che omaggiarli. Memoriale di Volponi è un romanzo al quale il mio guarda con forza; Pessoa è stato fondamentale per il tema dell’identità, del senso di estraneità. Non si può non tener presente Pasolini e il suo ruolo pionieristico, quando si parla di periferie. Walter Siti è oggi uno degli scrittori italiani più importanti. Sarà pure provinciale, ma la tradizione italiana me la tengo stretta, specie quella del secondo dopoguerra. L’America non è mai stato il mio immaginario, questione di gusti.
Ha iniziato a scrivere questo romanzo a 22 anni concludendolo a 26. Come nasce la sua passione per la scrittura, e ancor prima per la letteratura?
Ho cominciato a pubblicare i primi racconti a 18 anni, su una rivista che si chiamava “Accattone”, diretta da Lanfranco Caminiti, una figura che per me è stata fondamentale. In seguito ho scritto su giornali, riviste, web, ho partecipato a varie antologie: un percorso abbastanza lineare. Il mondo dell’editoria è molto più piccolo di quello che si possa immaginare, e pubblicare è più facile di quanto si pensa. Importante per me è la qualità, filosofia sulla quale puntiamo con l’agenzia letteraria Vicolo Cannery, nella quale lavoro insieme a Tommaso De Lorenzis e Martina Giorgi sin da quando Corrado Melluso l’ha aperta nel luglio del 2011. Un’agenzia che nasce dall’esigenza di proporre testi di alta qualità ad altrettante qualificate case editrici. Dal 23 febbraio al 23 marzo a Roma ci sarà “Aspetta primavera stronzo”, un´iniziativa tutta nostra che offre gratuitamente un corso di sopravvivenza editoriale a chi ha voglia di avvicinarsi all’editoria. Si parlerà di editing, traduzione, grafica, ma, soprattutto, dei veri problemi legati al mondo dell´editoria. Mi riferisco a stage gratuiti, traduzioni sottopagate, ecc.
Ultima domanda: quale quartiere berlinese l’ha più colpito e perché?
Tra quello che ho visto finora, direi Neukölln: mi sembra un posto vivo, pieno di spunti, e soprattutto un quartiere con un forte senso di comunità. Per giudicare una città, però, bisogna starci, girarla, capire le dinamiche.
Più passa il tempo e più mi vado convincendo che l’Italia sta diventando un Paese invivibile; soprattutto per il senso di “irresponsabilità” di moltissimi suoi abitanti: credono o, fanno finta di credere, che tutto sia loro “dovuto” e non sono disponibili ad alcunché per conquistarlo o meritarlo. Credono molto nei ..”miracoli”, ma non fanno alcunché, per almeno…”propiziarli”.
Roma ed il Lazio, da molti anni, purtroppo, si stanno… “napoletanizzando” ( camorra, rifiuti, voto di scambio, ecc.) e, ad un giovane che non crede ai “miracoli”, non si può fare altro che consigliargli, come disse un “sacerdote di strada” napoletano – dopo l’ennesimo eccidio di camorra – ai giovani che frequentavano il suo oratorio: ” Vuagli’u….jatevenn “!!!!