Gloria, il film di Lelio che ha incantato la Berlinale
di Vito Lamberti
Ricostruirsi una vita sentimentale a cinquantotto anni? Difficile, ma non impossibile se si possiedono humor, pazienza e soprattutto carisma. Queste almeno sono le armi possedute da Gloria, la protagonista ma anche il titolo del film che Sebastián Lelio, regista cileno, ha presentato alla 63esima Berlinale. Una tragicommedia dove le speranze implodono sul più bello e il campionario delle verità prevede sia quelle liete sia quelle dolorose. Paulina Garcia ce le fa vedere proprio tutte sul volto di Gloria, regalando, almeno fino adesso, la migliore interpretazione femminile del festival e candidandosi di diritto come favorita per la conquista dell’Orso d’Oro in questa categoria.
E Gloria, motivi di disegnare espressioni sul volto, ne ha diversi. Ha divorziato. I figli sono adulti e oramai hanno le loro vite, nonostante le dimostrino affetto. Lei non si rassegna a fare solo la nonna. Continua a lavorare, a frequentare teneri e allo stesso tempo patetici party per single della sua età, non disdegna il secondo cocktail e nemmeno uno spinello. Un giorno incontra Rodolfo, ex ufficiale della marina militare, e si apre lo spiraglio di una relazione a lungo termine. Il sesso funziona alla grande, la voglia di divertirsi c’è ancora, ma Rodolfo non riesce a chiudere definitivamente col suo passato, con la famiglia che non può fare a meno di lui…
Vedere film come “Gloria” alla Berlinale – peraltro in concorso – è una vera e propria benedizione, la prova di una reale alternativa alle non sempre convincenti prove d’autore che ogni festival impone. Un caso analogo, e con un personaggio femminile non meno colorito di Gloria, accadde qualche anno fa proprio a Berlino con “Irina Palm”, di Sam Garbarski, dove Marianne Faithfull, nei panni della protagonista, per pagare le spese dell’operazione del nipote diventava una masturbatrice seriale dietro i “glory holes” dei sexy club di Londra. Gloria è diversa, mantiene un contegno, una misura, anche quando si lancia come una tigre in un “agguato” di natura sessuale o si scatena in pista, con e senza cavaliere. Lelio le sta sempre addosso con la telecamera, mai sfiorando il voyeurismo e creando una robusta empatia con lo spettatore.
Impossibile non fare il tifo per lei. Soprattutto quando Rodolfo si mostra senza spina dorsale. Alle fine Gloria si prende le sue rivincite, ma anche la sua buona dose – l’ennesima – di malinconia. E’ il destino delle donne latine, sembra dirci Lelio, che nel film apre anche dei piccoli spaccati sulla storia recente e passata del Cile. Donne che quando escono dai ruoli di madre e di moglie, devono mettere in conto anche qualche difficoltà. Forse pure un po’ di dolore.