Alla Dante proiezione de “Il Divo”, premiato a Cannes
Con il nuovo anno, tornano le iniziative legate alla cultura italiana della Società Dante Alighieri di Berlino.
Domenica 13 gennaio, dalle 16, nella sede di Nollendorfstraße 24 a Schöneberg sarà proiettato il film di Paolo Sorrentino “Il Divo”, incentrato sulla figura di Giulio Andreotti (interpretata in modo magistrale da Toni Servillo).
La pellicola vinse il Premio della giuria al Festival di Cannes del 2008. La proiezione sarà introdotta dal dott. Marco Borroni. L’ingresso costa 4 euro per i non soci, 2 per i soci. Proiezione in Italiano con sottotitoli. Per informazioni, contattare il numero + 49 (0)30 883 1401.
RECENSIONE da Mymovies.it (di Giancarlo Zappoli)
C’è un uomo che soffre di terribili emicranie e arriva anche a contornarsi il volto con l’agopuntura pur di lenire il dolore. È la prima immagine (grottesca) di Giulio Andreotti ne Il divo. Siamo negli Anni Ottanta e quest’uomo freddo e distaccato, apparentemente privo di qualsiasi reazione emotiva, è a capo di una potente corrente della Democrazia Cristiana ed è pronto per l’ennesima presidenza del Consiglio. L’uccisione di Aldo Moro pesa però su di lui come un macigno impossibile da rimuovere. Passerà attraverso morti misteriose (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli) in cui lo si riterrà a vario titolo coinvolto, supererà senza esserne scalfito Tangentopoli per finire sotto processo per collusione con la mafia. Processo dal quale verrà assolto.
Paolo Sorrentino torna a fare cinema direttamente politico in Italia (Il caimano essendo un’abile commistione di politico e privato). Compie una scelta difficile pur decidendo di colpire un obiettivo facile: Andreotti. L’uomo di Stato che è stato definito di volta in volta, la Sfinge, il Gobbo, La Volpe, il Papa nero, Belzebù e, giustappunto, il Divo Giulio si prestava sicuramente a divenire simbolo di una riflessione sui mali del nostro Paese. La scelta era comunque difficile perchè Sorrentino aveva alle sue spalle almeno tre nomi ai quali ispirarsi e dai quali stilisticamente distinguersi in questa sua riscoperta del cinema impegnato: Francesco Rosi, Elio Petri, Giuseppe Ferrara. Il primo con il suo rigore nella denuncia, il secondo con una visionarietà graffiante, il terzo con il suo cronachismo drammaturgicamente efficace.
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