PANEM ET CIRCENSES – Quando la citronella non è un antizanzare
“Kờob kun kráb”. La piccola cameriera sorride con quel fare imbarazzato che contraddistingue il sorriso degli orientali quando interagiscono con gli occidentali. Chissà se di imbarazzo si tratta o se questa è soltanto la lettura che diamo attraverso codici socio-culturali nostri, che poco o nulla hanno a che fare con sistemi valoriali così profondamente differenti e lontani.
Forse è l’“effetto sorpresa”: non si aspettava di sentirsi ringraziare nella sua lingua; forse non si aspettava di sentirsi ringraziare e basta, al giorno d’oggi non è così scontato, in fondo, che la gente si ringrazi. Per una cosa così scontata come prendere un ordine al ristorante, poi, un “grazie” può suonare parecchio esotico in effetti. Se in più aggiungiamo che dopo un mese in Thailandia sono riuscito ad imparare soltanto “grazie”, “ciao”, “pollo”, “riso” e “maiale” e che dal viaggio sono passati più di cinque mesi, allora il mio “koob kun krab” deve risultare davvero esotico (oltre che pessimamente pronunciato, così la smettiamo di prendere in giro gli orientali quando dicono “glassie”).
La mini cameriera schizza via con il sorriso che ancora le disegna le labbra sottili. Ci guardiamo attorno tra tedeschi chini sulle ciotole di zuppa e turisti vocianti in fondo alla sala. Il “Lemongrass” è arredato in uno stile “minimal-standard”, cioè il minimal firmato Ikea (o emulatori di più bassa qualità), il che non disturba ma nemmeno emoziona.
Il “minimal-standard” è uno stile ingannevole, se vogliamo: l’impressione è sempre quella di trovarsi di fronte ad un ambiente particolarmente curato, quando in realtà la cura si limita, nel migliore dei casi, a seguire con precisione le istruzioni di montaggio di “Vikka” e “Maalgrund”. Con questo non voglio dire che non si possa creare un ambiente ricercato ed apprezzabile ricorrendo alla grande mamma svedese, però ciò non rientra sotto l’etichetta di “minimal-standard” che voglio usare per riferirmi agli interni del Lemongrass (e di altri ottocentosessantaquattromila ristoranti sparsi per il Mondo). Ad ogni modo questo non è un blog di design (suggerimento per la Redazione?) e quindi passiamo al cibo.
Anzi, torniamo alla cameriera. La cameriera è thailandese, tutto il personale è thailandese, la cucina (a vista, ed è una gran bella vista di colori e forme – verdure fresche, noodles, salse,…) è popolata da signore di età indefinibile anch’esse thailandesi e questo dona immensa gioia (in Italia tutto ciò che ha un vago sentore d’Oriente è “made in PRC”) e accresce l’eccitazione mentre aspettiamo le nostre birre Chang.
“Chang” significa elefante, nel nostro viaggio siamese l’abbiamo scelta come partner alcolico d’ordinanza, bevendone come elefanti per amor di metafora. L’altra birra thai che si trova ancor più diffusamente in occidente è la Singha (“leone”, la vera birra originale thailandese, la Chang è partecipata Carlsberg) ma, non so perché, ci siamo fatti il film che la birra del leone sia la birra dei fighetti e dei turisti e quindi abbiamo preferito l’elefante. Qualcuno passa per thai anche la più rara (e quindi esotica – paradosso, dato che il luppolo è d’importazione tedesca, il malto è australiano e il lievito olandese) Tiger, anche se in realtà la tigre è di Singapore…chissà che cosa ne penserebbe Salgari.
I profumi che avvolgono la sala sono lievi ed invitanti: nessun acre olio di palma bruciato, nessun persistente fritto aleggia sulle nostre teste e si insinua tra le fibre dei vestiti; il pungente odore della salsa di pesce si mescola al dolciastro di quella d’ostriche, al glutammato e alla soia; i peperoni e gli anacardi saltati con la cipolla diffondono note agrodolci nell’aria, le piastre sfrigolano, i wok cullano pietanze che cuociono in pochi minuti sopra fiamme da Mangiafuoco. I piatti che ci passano accanto sono allegri e fumanti: un intreccio di scie olfattive che attivano ricordi di luoghi lontani. Sono profumi autentici, gli stessi che da subito abbiamo amato in Thailandia e che al Lemongrass ci sembrano perfettamente in grado di ricreare.
La scelta della prima volta, per me, è obbligata: il piatto indice della fedeltà alla cucina sperimentata in loco non può che essere il “Pad Thai”. É il piatto nazionale, e come tale si presenta in decine di varianti regionali (se non addirittura casalinghe), di base però si tratta di noodles (di riso o all’uovo) serviti con lime, arachidi tostate e tritate, peperoncino, uovo, tofu e, a scelta, l’immancabile pollo (“gai”), gamberi (non l’ho imparato) o verdure (idem).
Alessandra, invece, amante del curry opta per un “Massaman”, curry giallo speziato tipico del sud musulmano del Paese – anice, cardamomo, cannella, profumano la pasta di curry da cuocere con latte di cocco, carne (pollo o manzo) e l’aggiunta, particolare per la Thailandia, di patate già lessate. I piatti arrivano accompagnati da un profumo che invade la tavola, penetra nelle narici ed esplode nel cervello.
Con il Pad Thai mi portano le bacchette, il Massaman accompagnato da riso bianco (molto amidoso benché non sia lo sticky rice originale, qualcosa di più simile ad un chewing-gum che a un riso) ha il tipico cucchiaio orientale da zuppa. Questo che può sembrare un particolare di secondo piano in realtà è un segno di qualità e di fedeltà alla cucina d’origine. In Thailandia non si mangia con le bacchette, soltanto qualche piatto particolare ne prevede l’uso, per tutto il resto ci sono cucchiaio e forchetta – non si usa, invece, il coltello perché gli ingredienti sono tagliati a misura di boccone già durante la preparazione del piatto.
In un angolo, ben separati tra loro, un mucchietto aggiuntivo di arachidi tostate e tritate, uno di peperoncino secco tritato grossolanamente, mezzo lime, come vuole la presentazione del piatto, in modo che il commensale possa dosare i condimenti secondo il proprio gusto. L’anice e il cardamomo del Massaman si sentono dall’altra parte del tavolo, il colore ocra scuro è perfetto e il latte di cocco non sovrasta gli altri profumi come spesso capita quando si ordina un curry.
Siamo emozionati e felici. Viene istintivo chiudere gli occhi mentre mastico il primo boccone. Che gioia. Per un lungo attimo sono di nuovo a Chiang Mai, Sukhothai, Bangkok, Krabi, Ko Lanta. Guardo Ale, anche lei ha gli occhi chiusi e sorride, anche lei è in Thailandia per il suo lungo attimo. Il Re Rama IX ci guarda dalla fotografia appesa alle nostre spalle e sembra soddisfatto dell’operato dei suoi sudditi devoti. Può esserlo davvero Sua Maestà, questa cucina è regale!
Quando la cameriera sparecchia il tavolo e ci chiede se ci è piaciuto possiamo solo dire “Super, prima! Sehr sehr gut, lecker!” ma non riusciamo ad esprimere appieno come ci sentiamo. Oggi, scrivendo questo post, ho ripreso in mano il frasario thailandese, sezione “cucina”: non credo che sarò mai in grado di dire “kŏo fẚag kam ciom hâi phôo kruua dûua-i” [complimenti al cuoco!] ma di sicuro mi avventurerò in un “aa·hăan yẚang dii” [un pranzo degno di un re!].
Questa volta sì che ci sarà da ridere…e speriamo di non offendere Sua Maestà. “Kờob kun kráb laa gờon”, grazie e arrivederci!
Magister_L
p.s.: siamo tornati diverse volte al Lemograss e fino ad oggi non ha mai fallito un colpo.
p.s.s.: mi scuso per la trascrizione fonetica non proprio perfetta del thai, ma né unicode né la rete mi sono state d’aiuto…
Lemongrass > Simon-Dach-Straße 2, 10245 Berlin spesa > 10-20 €
Volete le ricette? Volete cucinare thai per i vostri amici? Contattateci su www.panem-et-circenses.me vi daremo qualche dritta!
Aaah! Adoro la cucina Thai! E’ così incredibilmente emozionale ed emozionante, davvero.. con gli aromi così penetranti ma combianti in maniera talmente armoniosa.. peccato che in Italia, davvero, non si riesca ad andare più in là del cinese travestito da altra nazionalità.. (il che, tra l’altro, sminuisce oltretutto la cucina cinese, che in sé sarebbe raffinatissima, ed invece è ridotta a tristi risi cantonesi e mediocri agrodolci..). Se mai riesco a venire lì mi ci devi portare sì! Un bacio!
PS: e non ho scritto “potrei uccidere per..” lì avresti saputo chi fossi anche non firmandomi, lo so!