“Ecco il mio collage di icone pop”: intervista a Lucio Palmieri
di Valerio Bassan
“I fan adoravano ma erano volubili, e se le loro divinità mostravano di avere i piedi d’argilla, le abbattevano senza pietà. Tanto, a un passo dallo schermo, c’era sempre una nuova stella in attesa di sorgere”. Così scriveva Kenneth Anger nel suo Hollywood Babilonia. Era il 1979, e per la prima volta qualcuno raccontava lo star system americano dall’interno, rivelandone fragilità, punti oscuri, contraddizioni. Oggi Lucio Palmieri, artista romagnolo, reinterpreta quest’approccio nella sua prima mostra berlinese, intitolata significativamente “Hollywood Babilonia Reloaded” (Galleria S19, Kreuzberg, fino al 28 agosto, ingresso gratuito).
Lo strumento qui non è più la penna, ma il collage. É unendo diversi fogli, talvolta seguendo un processo analitico, talvolta con approccio istintuale, che Palmieri ha creato dieci opere raffiguranti, ognuna, un’icona femminile simbolo dei nostri tempi. Non c’è Marylin Monroe – che troneggiava sulla copertina del leggendario libro di Anger – ma ci sono Madonna, Kim Kardashian, Anna Wintour, Angela Merkel e le “ultime arrivate”, Lady Gaga e Lana del Rey. Spazio anche a chi non c’è più, come Amy Whinehouse, la cui caratteristica chioma è raffigurata dall’unione di parti di insetti, mentre il suo corpo non si vede, in una raffigurazione che mescola presenza ed assenza, significante e significato.
«Sono opere che ho prodotto con naturalezza. In un certo senso le stavo già realizzando, e ho solo deciso di contestualizzarle all’interno di una serie: Hollywood Babylonia Reloaded, appunto. Il titolo non indica la pretesa di fare un’opera analoga a quella di Anger, ma cita un riferimento e un’ispirazione, che per me sono molto importanti», spiega Palmieri, che ha studiato restauro all’Accademia di Brera di Milano, specializzandosi proprio nel restauro di materiale cartaceo. Si è trasferito a Berlino da pochi mesi e, mentre produce le sue opere, lavora in un ristorante per pagarsi le spese. Ha già esposto a Milano e a Washington.
Come ti sei appassionato alla tecnica del collage?
Ho sempre raccolto carte, mi piace assemblarle e stravolgerle per creare nuove immagini, mi piace farle dialogare tra loro. Non saprei risponderti come è andata veramente, perché questa tecnica mi ha sempre affascinato. Crescendo mi sono detto: per comprenderla appieno, devo appropriarmene. Da lì ho iniziato a sperimentare parecchio. Molti di questi lavori sono nati da un’unione di carte diverse quasi casuale, senza grandi riflessioni dietro ma deducendo una possibile corrispondenza proprio nell’atto dell’assemblaggio.
Ci racconti un po’ le varie opere?
Non si tratta di ritratti veri e propri, ogni personaggio è stato reinterpretato in un modo particolare. Madonna, ad esempio, non è raffigurata: il suo volto è talmente utilizzato sui giornali che ho deciso di ritrarla soltanto con la silhouette del bustino che l’ha resa un’icona, utilizzando frammenti di carte da gioco. La stessa cosa per Amy Winehouse, che non è un ritratto immediato, ma ne cogli il profilo solo se la osservi, perché appunto non c’è più. C’è poi Hello Kitty, rappresentata con il fondo di una bistecca: essendo l’unica che non è in carne ed ossa, ho deciso di rappresentarla con la carne. E poi ancora Kim Kardashian, nota per il suo didietro, che in quest’immagine l’ha ingoiata… l’ha usato talmente tanto che ormai nella sua figura si vede solo quello.
Quale di queste icone, secondo te, ricopre un ruolo più importante a livello di contemporaneità e di immagine?
L’icona più forte è Amy, perché non si fa vedere. Con un primo sguardo non riconosci la figura. A livello di contemporaneità, invece, direi Lady Gaga, la cui testa è unita a quella di un fenicottero.
Le opere si possono acquistare, così come le riproduzioni.
Esattamente. Ho coniato lo slogan “worship tour icons”: in quanto icone commerciali, queste opere hanno la necessità di venire replicate all’infinito e diffuse in modo seriale. Per questo le rendiamo disponibili in vari formati, poster, A2, oppure in cartolina, a prezzi davvero popolari.
Da quel poco che hai visto in queste prime settimane a Berlino, com’è la situazione nel tuo campo e quali sono le differenze rispetto a Milano?
A Milano, nonostante tante gallerie e artisti giovani, le difficoltà di esporre sono maggiori. Rispetto a Berlino, il flusso artistico di Milano è più castrato. Qui, invece, la situazione è molto “raccontata”, ma anche le favole hanno una loro base di verità. Essere artisti a Berlino è più semplice, ma ciò non esonera nessuno da un impegno concreto. Non basta esporre una volta oppure vivere in una città con una galleria ogni metro per potersi definire artisti.