Nel Jugendwerkhof di Torgau, dove la DDR rinchiudeva gli “indisciplinati”
di Dario J. Laganà*
Quella raccontata tra queste mura è la storia di una generazione. Se mai vi capitasse di poter entrare in confidenza con i tedeschi dell’Est e di creare la giusta fiducia, infatti, potreste ritrovarvi ad ascoltare storie che portano a questo luogo.
Allo Geschlossener Jugendwerkhof di Torgau il sistema di controllo ed educativo dell’Ex Germania dell’Est, anche grazie al controllo e l’influenza del Ministerium für Staatssicherheit, lasciò il segno nelle vite di molte persone.
L’ideologia della dittatura SED domandava che tutte le persone fossero “pienamente cittadini socialisti”: questo significava uniformarsi, che fosse il lavoro o la scuola o i gruppi giovanili, che fossero le case (la costruzione dei Plattenbau ne è un segno architettonico formidabile); tutto necessitava un indottrinamento, dall’asilo al momento della pensione.
Le varie forme socialiste dei primi anni della DDR lasciarono il passo man mano sempre a meno libertà, perché questa andava in contrasto con l’idea del controllo.
Cosa succedeva a chi non si uniformava? I tedeschi dell’Est presero in prestito dai Nazisti i campi di lavoro e altri campi nei quali venivano trattati gli “Asoziale” e continuarono ad utilizzarli in buona parte con gli stessi scopi (uno dei campi di Berlino era a Rummelsburg ed oggi ospita appartamenti, ma è ancora visibile la struttura del campo e la torre di controllo).
Per i giovani che invece non si uniformavano esistevano strutture apposite. Una di queste è il famigerato Geschlossener Jugendwerkhof Torgau, situato in Sassonia, a poco meno di due ore di distanza da Berlino. Se siete appassionati di cinema, potreste averne sentito parlarne nel film tedesco “Barbara” (in italiano “La scelta di Barbara”) con Nina Hoss, dove Stella, la ragazza che lei tenta di aiutare, tenta di scappare proprio da questo luogo.
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Il complesso dello Jugendwerkhof faceva capo direttamente al Ministero della Pubblica Istruzione e fu inaugurato il 1 maggio 1964 ampliando un ex carcere giovanile. Il complesso edilizio era circondato da mure alte circa 5 metri (il ‘muro’ di Berlino era in media più basso), con filo spinato e vetri rotti. Gli edifici stessi composti da soggiorno, camerate, impianti di produzione e alcune celle buie per la detenzione.
Sulla carta lo Jugendwerkhof serviva ad un reinserimento nella società attraverso lo studio e il lavoro, ma lo scopo era quello di annullare la volontà dei giovani all’insubordinazione e porre le basi per future misure di rieducazione.
La realtà dei fatti consisteva in un sistema militare e penale rigido, lavoro fisico monotono e formazione ideologica. Come conseguenza delle condizioni di vita insopportabili, umiliazioni e abusi fisici mirati, ci furono una serie di suicidi e di auto-mutilazione in un numero che fino ad oggi non è stato ancora accertato in via definitiva.
Molti di questi ragazzi venivano portati qui dopo ripetuti problemi di adattamento, spesso direttamente dalle rispettive famiglie che non sapevano più come gestirli. Questa di fatto diventava la loro prigione.
Nel dicembre 2004 la Corte di Appello di Berlino ha giudicato il sistema come incostituzionale, permettendo agli ex detenuti di avviare una richiesta per il risarcimento.
Oggi il muro di cinta non esiste più, una piccola parte del complesso serve come Gedenkstätte (centro di documentazione) con le storie e le vite dei testimoni della struttura, mentre il resto è stato ristrutturato in appartamenti.
* Dario J. Laganà è un fotografo professionista specializzato in documentazione storico-sociale della città e dei suoi cambiamenti. Il suo blog fotografico su Berlino è Elephantinberlin.com, il suo sito è Norte.it
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