di Arianna Tomaelo
Una guerra che è in corso da ormai quattro anni, quella tra Assad e i ribelli siriani. Una guerra che sta vedendo una delle battaglie più cruente del ventunesimo secolo, una guerra che sta praticando il genocidio di un’intera popolazione, una guerra che sta tenendo imprigionate oltre 200 mila persone ad Aleppo, città della Siria che rappresenta uno snodo fondamentale verso la Turchia.
Come sempre, la si legge sui giornali come una guerra tra grandi, si parla di Assad e dei ribelli come se la partita in gioco fosse solo una cosa loro, ma la situazione umanitaria che si è creata attorno ai civili che hanno deciso di non lasciare Aleppo in questi quattro anni è diventata così grave da scatenare le reazioni di tutt’Europa.
Infatti, dopo la caduta ufficiale di Aleppo nelle mani di Al-Assad pochi giorni fa, le immagini che hanno cominciato a riempire il web ritraggono 200 mila persone imprigionate nella città, senza viveri e senza sufficiente assistenza medica, costantemente sotto la minaccia di violenza e distruzione. Anche se stando alle fonti ufficiali queste persone dovrebbero poter avere la possibilità di emigrare grazie ad una tregua tra le potenze impicate nel conflitto, per il momento la situazione è gravissima: tanto da guadagnarsi milioni di like sui social.
È questa la catena che la giornalista polacca Anna Alboth si è proposta di spezzare, promuovendo, con l’aiuto di un gruppo di volontari attivisti per la causa umanitaria come lei, una “marcia per la pace” che partirà proprio da Berlino il giorno dopo Natale. Il manifesto della Civil March, infatti, si pronuncia proprio sulla colpevolezza di chi, stando di fronte ad uno schermo e piazzando qualche likes o condividendo un paio di video, pensa di aver assolto il proprio dovere rispetto allo scempio che sta avendo luogo alle porte dell’Europa.
Anna e gli altri volontari sono convinti che si possa fare qualcosa: marciare per la pace per lanciare un grido alle autorità, a chi muove le marionette nel palcoscenico della guerra in Siria, per dire “basta” e reclamare quel rispetto dei diritti umani che troppe volte sono stati calpestati.
La marcia partirà alle ore 10.00 del mattino del 26 Dicembre e sono previsti tra i tre e i quattro mesi di cammino: a un ritmo di 20 km al giorno, l’iniziale gruppo di tremila persone percorrerà a ritroso la cosiddetta “refugee route”, la strada che ogni giorno porta i fuggitivi siriani in Germania e verso le altre mete europee. Quasi 900 km, con partenza Tempelhofer Feld, Berlino, e arrivo Aleppo, Siria, passando per Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, Grecia e Turchia.
Gli organizzatori si rendono conto delle difficoltà che la maggior parte delle persone potrebbero avere nel prendere parte all’intera marcia, per questo chiedono che ognuno partecipi nei propri limiti, anche solo durante una settimana, un giorno o poche ore: per contribuire ad ingrossare le fila del gruppo, dimostrando che quella della lotta per la pace è una vera e propria corrente e che le autorità devono mobilitarsi.
Una causa nobile, quindi, senza fine di lucro, che non ha mancato di suscitare polemiche per i rischi che chi marcia potrebbe correre: infatti il partecipante dev’essere consapevole che, per quanto riguarda i pasti, l’organizzazione non si può permettere di gestire un servizio mensa o di dispensare buoni pasto. Idem per il pernottamento: si sta cercando in tutti i modi di trovare luoghi chiusi che diano ristoro durante tutto il percorso, ma più di una notte si dormirà all’aperto, a temperature ben sotto lo zero. Per quanto riguarda la sicurezza, invece, non si dovrebbero correre rischi in suolo europeo, ma varcati i confini la situazione è incerta. Tuttavia, anche se l’obbiettivo è Aleppo, lo scopo principale è quello di sensibilizzare le autorità ben prima dell’arrivo, durante le prime settimane del percoso, in modo che si attivino per prendere misure immediate e che il gruppo possa fermarsi senza dover correre rischi.
Le persone che staanno lottando per questa causa sono prevalentemente giovani tra i 25 e i 35 anni, la cosiddetta “generazione Erasmus”, che, senza volerlo, si è trovata coinvolta in un periodo storico dove il bello dell’interculuralità si sposa con la tristezza di dover fare della guerra in Medio Oriente il principale argomento di conversazione quotidiano. E questi giovani hanno deciso di fare qualcosa di concerto non solo per Aleppo, ma anche per Berlino, Parigi, Bruxells, Nizza e tutta l’Europa che quotidianamente viene colpita al cuore. Perche #PrayforBerlin vuol dire poco, se poi restano solo parole postate su Twitter.